È andato tutto com’era stato ampiamente previsto alla vigilia delle elezioni: vittoria facile per il partito liberaldemocratico (Lpd) di Shinzo Abe. Abe, premier e presidente del Ldp, conquista in coalizione con il Komeito – legato alla setta religiosa Soka Gakkai e quarta forza nazionale – 326 seggi su 475 in Camera bassa – oltre due terzi dei disponibili.

È stato un pessimo risveglio invece quello di Banri Kaieda, presidente del Partito democratico (Dpj), primo partito di opposizione e seconda forza nazionale con 73 seggi – poco meno di un quarto di quelli (291) ottenuti dal Ldp. La formazione in grado di ottenere la maggioranza nel 2009 guadagna terreno rispetto al 2012, ma il suo leader rimane fuori dalla corsa a un seggio in parlamento. I vertici del partito hanno chiesto scusa per l’incapacità di proporre un numero di candidati adeguato e di far fronte a elezioni annunciate a sorpresa e organizzate in pochissimo tempo. A stretto giro, Kaieda ha inoltre annunciato le proprie dimissioni.

La “maggioranza bulgara” in entrambe le camere del parlamento conferisce ad Abe una libertà d’azione superiore a quella dei suoi predecessori recenti, nonché la garanzia di arrivare – a meno di terremoti interni al Ldp – a fine mandato nel 2018. Il focus del nuovo governo Abe sarà ancora una volta l’economia, ma le riforme costituzionali – in particolare articolo 96 e 9 della Carta postbellica – avranno un loro peso specifico non trascurabile.

L’annuncio era arrivato in campagna elettorale ed è stato ripetuto in conferenza stampa: avanti con “Abenomics” – la politica economica inflazionistica e di stimoli fiscali avviata due anni fa. “Il risultato (elettorale, ndr) ci pone di fronte a una responsabilità su cui dobbiamo riflettere attentamente […] Prendo atto della volontà dei cittadini di proseguire sulla strada di ‘abenomics’”, ha spiegato il leader del partito conservatore che, nelle quattro settimane di campagna elettorale, ha spinto molto sull’assenza di vere alternative alla sua agenda economica per tirare fuori l’economia nipponica dalla recessione registrata nel terzo trimestre del 2014.

Un’urgenza avvertita anche dagli imprenditori giapponesi – con cui il governo dovrebbe incontrarsi domani, 16 dicembre – che tramite Sadayuki Sakakibara, presidente dell’associazione di categoria, la Keidanren, ha espresso apprezzamento per la vittoria di Abe. “Entro fine anno – ha rassicurato il premier ai microfoni – delineeremo la politica economica (per i prossimi anni, ndr)”, parte fondamentale della quale sarà con tutta probabilità la riattivazione delle centrali nucleari del paese, molte delle quali oggi spente.

Sul fronte costituzionale, il premier giapponese ha promesso un ulteriore sforzo per “diffondere la consapevolezza” tra i cittadini della necessità di una riforma per cui oggi la maggioranza avrebbe i numeri necessari in parlamento, ma probabilmente non per un referendum popolare. Posta in gioco è ancora una volta l’articolo 9 della costituzione che impedisce dal 1947 a Tokyo di avere un esercito nelle sue piene funzioni, consentendo il mantenimento di un corpo militare al solo scopo difensivo e – in seguito alla nuova interpretazione dell’articolo promossa dal governo la scorsa estate – in grado di partecipare a operazioni definite di “auto-difesa collettiva”, sotto l’egida Usa o delle Nazioni Unite.

Il premier deve comunque prendere atto della bassissima affluenza alle urne: appena il 52,66 per cento degli aventi diritto, consegnando alla storia politica giapponese il dato più basso mai registrato dal dopoguerra a oggi. “Per le elezioni sono stati spesi quasi 70 miliardi di yen (poco più di 47 milioni di euro) di soldi pubblici – scrive oggi sull’Asahi Shimbun Satoshi Kamata, giornalista freelance divenuto celebre per un’inchiesta sulle condizioni di lavoro alla Toyota negli anni ’70 – quasi metà dei quali sono andati sprecati”.

Nel suo editoriale, Kamata si chiede se dopo il voto di ieri – tenutosi a metà mandato in modo inaspettato “come l’attacco a Pearl Harbour” – il Giappone sia ancora un paese democratico, visto lo strapotere del Ldp: una piccola speranza, spiega tuttavia Kamata, arriva dall’estremo sud dell’arcipelago, da Okinawa, dove il partito di Abe ha subìto una pesante sconfitta, perdendo in tutti e quattro i distretti elettorali.

Qui, il governo di Tokyo intende procedere con i lavori di costruzione di una nuova base aerea americana a Nago, sulla costa occidentale dell’isola. Al progetto è arrivato un secco “no”, complici il pluridecennale attivismo pacifista della popolazione e la recente vittoria di un governatore provinciale, Takeshi Onaga, che si oppone alla costruzione di una nuova base aerea americana sul territorio della sua amministrazione.

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