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I bambini e il lutto, quelle grandi domande

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“Che intenzioni hai?”, mi chiede Mario, quattro anni. “Vado in giardino”, rispondo, “vuoi venire con me?”. “Ovviamente” replica. E già so che domani lo racconterò a qualcuno, anche se capisco benissimo che non c’è nulla di prodigioso in quella parola, che avrà sentita da uno di noi adulti appena ieri. Però l’ha usata a proposito, voleva dire che sì, naturalmente sì perché il giardino mi piace, e mi piace giocarci con te. Così si forma di giorno in giorno il linguaggio, mi dico. Strano però che lui non riesca a pronunciare ancora la esse, oltre alla erre.

D’altronde mi chiede in questi giorni come si fa a tornare piccoli e se può andare a dormire nel lettino con le sponde che è rimasto a casa dei nonni. Poi oggi in chiesa ha preso in mano il foglietto della messa domenicale. C’era il disegno dell’Arca di Noè, mi aspettavo che mi domandasse della grande barca e di tutti quegli animali. Invece mi ha detto “È morto Noè?”. “Sì”. “E perché è morto?” Perché era molto vecchio, lo sapevo, stavolta. Ieri era stato più sconcertante. A tavola, davanti ai nonni, ha domandato: “Ma tuo papà e tua mamma sono morti?” Non ancora, mi ha anticipata mio padre, ma un giorno moriranno come tutti.   

Però in chiesa ha continuato, mentre dalla fila avanti una signora si girava sorridendo: “E Gesù è morto?”. “Sì, è quell’uomo sulla croce là in fondo”. “Perché è morto, era vecchio come Noè?”. E io: “No, non era vecchio”. A questo punto la signora si è girata di nuovo, un po’ incuriosita e forse preoccupata per me che cominciavo ad annaspare. Che cosa gli devo dire? A quattro anni può sentirsi raccontare che lo hanno ucciso inchiodandolo sulla croce? Però quella croce la vede in giro ogni giorno, all’asilo e nei quadri. Strano che mi chieda tutto proprio oggi, per giunta mentre gli altri ascoltano.   

Devo ammettere, non mi ero preparata alla domanda, per mia imprudenza, visto che ce lo porto io a messa. Farfuglio qualche cosa, aiutata dal brusio di una preghiera. Poi lui mi salva con un “Non credevo che durasse tanto questa messa”. La signora ora ride. Io sento che al confronto la mancanza della esse e della erre sono poca cosa.

Il Fatto Quotidiano, 24 novembre 2014

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