Un numero di pratica, una transazione e via. La casa non c’è più, anzi c’è ancora ma ci vivranno altre persone. Da mesi una famiglia di Uta, poco più di 8mila abitanti nel sud della Sardegna, vive sotto sfratto perché l’appartamento di circa 120 metri quadri è all’asta giudiziaria. Lì ci abitano Martina e Federica, due gemelle di nove anni, con una malattia genetica rara e grave. Il fallimento del market dei genitori, nel 2010, e lo strascico di debiti con le banche, i fornitori ed Equitalia rischia davvero di lasciare le due bimbe disabili senza un tetto.

Il primo appuntamento a metà novembre con il compratore è sfumato. Era interessato ad andare avanti: si parte da appena 50mila euro. Ma ha avuto quelle informazioni che di solito sono riservate, ma alla portata di tutti in un piccolo centro: identità e condizione degli attuali proprietari. Tutto grazie alle iniziative dei compaesani e di altre reti sociali della zona. Tam tam su social network e tradizionale passaparola poi la marcia fino al municipio con i cartelli piccoli e grandi: “Non comprare se hai un cuore”. Messaggio preso alla lettera. Il prossimo appuntamento è comunque vicino – il 10 dicembre – e l’obiettivo molto ambizioso: partecipare all’asta. Entro il 5 è necessario consegnare al tribunale, a mo’ di garanzia, il 10% della base, ossa circa 5.200 euro. A fine mese, con la colletta lanciata sul web e altri canali, la cifra è stata quasi raggiunta; nei report quotidiani con il saldo della carta ricaricabile pubblicato online si vedono donazioni che vanno da poche centinaia di euro a meno di dieci. E poi c’è la pesca miracolosa con oggetti vari portati in un centro raccolta: giochi, abat-jour, piatti e soprammobili nuovi e mai usati o di seconda mano.

“Il traguardo è in salita – dice la zia delle piccole, Alessandra Orrù, a ilfattoquotidiano.it – dopo l’acconto ci sarebbe il resto. All’inizio l’asta era sui 105mila, poi c’è stato il ribasso. La casa ovviamente ne vale ben di più: attorno ai 130″. Nella Sardegna della crisi e dell’assenza cronica di lavoro, con le serrande dei negozi abbassate ovunque, non è di certo l’unica abitazione ad esser pignorata. “Ce ne sono tante anche in questa zona – continua – magari non si arriva alla vera offerta e quindi all’acquisto. C’è chi vive da 20 anni nella stessa casa e l’asta poi va deserta. Certo, forse non con dei bambini disabili”.

Racconta che quello è l’unico bene da cui, eventualmente, poter ripartire: “Hanno portato via anche le auto. Girano con un’utilitaria che ho affittato io per alcuni periodi. Al momento non lavorano, vivono con l’indennità di poche centinaia di euro che spettano alle bambine. Lui cura l’orto in alcuni terreni di famiglia, lei è stata assunta per qualche mese lo scorso anno nei cantieri dei lavoratori socialmente utili. Poi basta”. E in più ci sono le gemelle che necessitano di un’assistenza continua: “Sono in terza elementare – spiega ancora la zia – chi le segue ha deciso di farle andare a scuola un anno più tardi. La lotta per i diritti è quotidiana. Mia sorella ormai è un’esperta in ricorsi. Martina e Federica iniziano l’anno con una sola insegnante di sostegno, da dividere. Poi, su sollecito, a metà anno arriva l’altra. In ritardo”.

La mamma, Anna ha 41 anni, il padre Piero 50: “Dove trova ora un posto di lavoro? Per andare sotto ed essere travolti è bastato non riuscire a pagare qualche fornitura di un market. Il nostro errore –prosegue – è stato ipotecare la casa. Ci siamo fidati, ecco. Di certo poi non ci hanno messo nelle condizioni di pagare i nostri debiti dopo anni in cui le banche hanno mangiato sulle nostre spalle”. E aggiunge dettagli sulle comunicazione del curatore fallimentare: “Ci ha chiamato venerdì per il martedì successivo, il messaggio era chiaro: dovete uscite perché l’acquirente deve vedere la casa, senza di voi. Non voleva che ci fossero le bambine, chiaro. Ma la casa fa parte di noi: è stata costruita da mio marito con il lavoro di una vita, ci dovrà guardare in faccia chi compra”. Ed è quindi arrivato il sostegno collettivo, spontaneo. Anche da parte degli ex clienti. Così spiega uno dei promotori delle iniziative, Riccardo Assorgia: “Questo è un caso particolare e la solidarietà è contagiosa. Hanno partecipato moltissimi, anche con pochi euro. La famiglia non ha sollecitato nulla, sia chiaro, ma lo Stato qui è assente e allora ci proviamo noi”.

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