Secondo l’ultimo rapporto dell’Eures (l’istituto di statistica europeo), sono 179 i femminicidi commessi nel 2013, un anno che ha registrato la più elevata percentuale di donne vittime di omicidio mai riscontrata in Italia. In sostanza ogni due giorni una lei è caduta sotto la violenza maschile. Dati sconfortanti che restano a monito mentre ci avviciniamo al 25 novembre, la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne.

Eures, nella parte conclusiva della sua indagine, sottolinea anche l’inefficacia e l’inadeguatezza della risposta istituzionale alla richiesta d’aiuto delle donne vittime di violenza all’interno della coppia, visto che nel 2013 ben il 51,9% delle future vittime di omicidio (17 in valori assoluti) aveva segnalato/denunciato alle Istituzioni le violenze subite.

L’istituto ricorda quindi come sia fondamentale garantire una maggiore assistenza alle vittime di violenza sessuale e di genere attraverso, per esempio, il potenziamento dei centri anti-violenza con lo scopo di prevenire il fenomeno. Venendo così anche incontro alle richieste contenute nella Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica – meglio nota come Convenzione di Istanbul – del maggio del 2011, basata sulle cosiddette tre P: prevenzione, protezione e punizione dei colpevoli. Ebbene la Convenzione è da qualche mese entrata in vigore anche in Italia – paese tra i primi a ratificarla – ma nella sostanza è rimata ancora lettera morta. Qualcuno dice che senza un ministro alle pari opportunità – il dicastero è mantenuto ad interim dalla Presidenza del Consiglio – nulla di concreto mai si realizzerà.

E questo è quanto, mentre i numeri continuano ad essere da brivido. Nel 2013 si è registrato un aumentate del 14% del femminicidi, con un aumento significativo di quelli in ambito familiare, più 16%, così come pure nei contesti di prossimità: rapporti di vicinato, amicizia o lavoro, dal 14 a 22%. In 7 casi su 10 i femminicidi si sono consumati all’interno del contesto familiare, una costante nell’interno periodo 2000-2013. Milano e il Nord Italia in genere – dove in tutto, nel 2013, sono morte ammazzate 60 donne – rimane il territorio dove si verificano più omicidi in famiglia: 8 su 10.

Dobbiamo tenere alta la guardia contro una piaga sociale di questo tipo. Io ho deciso di ricordare il 25 novembre al Muro delle bambole di via De Amicis a Milano, uno spazio nato il 21 giugno scorso come monito alla “sofferenza” femminile, ma anche alla voglia di riscatto e alla volontà a resistere. Su una parete esterna della Casa dei diritti di Milano è stata allestita una grata con appese decine e decine di bambole; qui mi recherò quasi in pellegrinaggio, per ricordare che tante, ancora troppe, sono le donne che continuano a soffrire; e per dare la sveglia alle istituzioni affinché si dedichino a mettere in campo iniziative concrete e risolutive del terribile problema.

Il Muro delle bambole di Milano nasce proprio con questo fine, dare un’immagine plastica e visiva, anche se non banale, del terribile destino che a volte riguarda noi donne. Una sorte di violenza che sei mesi dopo il primo allestimento del muro ha interessato anche alcune “creazioni” appese in via De Amicis, che qualcuno notte tempo ha deciso di vandalizzare, strappare o addirittura rubare. Anche da un piccolo segno come questo si può vedere il livello di poco rispetto che ci è concesso; perché fare violenza su una bambola, che ci rappresenta perché rappresenta la nostra infanzia e i nostri giochi, è come far violenza su noi stesse.

Per le percosse, per strangolamento o per soffocamento, ovvero “a mani nude”, nel 2013 sono morte 51 donne, quasi una vittima di femminicidio su tre. E tale modalità di esecuzione, secondo l’Eures, è segno di “più alto grado di violenza e rancore”. Gli occhi sbarrati delle bambole di Milano ci guardano e denunciano statistiche tanto terrificanti.

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