Dalla tempesta del bunga bunga si salva solo Silvio Berlusconi. La III Corte d’appello di Milano infatti ha rimodulato al ribasso le condanne per l’ex direttore del Tg4, Emilio Fede, l’ex consigliera regionale lombarda del Pdl, Nicole Minetti, e l’ex agente di spettacolo Lele Mora. I giudici riducono le pene per tutti, fanno cadere alcuni capi d’imputazione e ne riformulano altri, anche se confermano l’impianto accusatorio di quello che è stato chiamato processo Ruby bis.

I giudici della terza sezione penale della Corte d’Appello di Milano, presieduta da Arturo Soprano, hanno ridotto la condanna per l’ex direttore del Tg4 da 7 anni a 4 anni e 10 mesi, assolvendolo per una parte delle imputazioni (l’induzione alla prostituzione) e riqualificando altri fatti contestati. La pena per l’ex consigliera lombarda invece, è stata portata da 5 anni a 3 anni con il riconoscimento delle attenuanti generiche. Per l’ex igienista dentale e showgirl, già in primo grado nel luglio 2013, dell’originaria accusa di induzione e favoreggiamento della prostituzione, anche minorile, era rimasta in piedi solo la contestazione del favoreggiamento delle ragazze maggiorenni.

Mora, invece, è stato condannato a 6 anni e un mese, ma nella pena va compresa anche la “continuazione” con il reato di bancarotta per il crac della sua Lm Management e per il quale ha patteggiato 4 anni e 3 mesi nel 2011. In sostanza, l’ex talent scout, che ha rinunciato a difendersi nel merito chiedendo soltanto uno sconto di pena, ha evitato un cumulo di pene di 11 anni e 3 mesi (il Tribunale per il caso Ruby gli aveva inflitto 7 anni). Essendo già stato in carcere per oltre un anno, a questo punto gli basterà probabilmente prolungare il periodo di affidamento ai servizi sociali, che avrebbe dovuto concludersi il prossimo anno.

Dal dispositivo della sentenza (le motivazioni tra 90 giorni) è emerso, inoltre, che anche Fede, così come Berlusconi, non era a conoscenza del fatto che Ruby fosse minorenne. L’accusa di favoreggiamento della prostituzione della marocchina, infatti, è stata riqualificata in favoreggiamento della prostituzione di una maggiorenne. Ciò significa che, secondo la Corte, anche Fede non sapeva che la ragazza aveva 17 anni quando la accompagnò nella residenza dell’allora premier. L’ex direttore, in particolare, è stato condannato a 4 anni e 10 mesi per le accuse di favoreggiamento della prostituzione di maggiorenni, Ruby compresa, mentre gli episodi relativi a Chiara Danese, Ambra Battilana e Imane Fadil sono stati riqualificati in tentativo di induzione alla prostituzione perché le giovani rifiutarono di partecipare al “bunga-bunga”, diventando poi testimoni ‘chiave’ dell’inchiesta.  

Il sostituto pg Piero De Petris, al termine della requisitoria, nella quale aveva parlato delle serate di Arcore come di un “lupanare“, aveva chiesto invece la conferma delle condanne di primo grado. Mora si dice soddisfatto: “Sono emozionato, perché se fossi finito carcere si nuovo il mio fisico non avrebbe potuto reggere. Ho già pagato perché sono finito in carcere in isolamento per 14 mesi, trattato peggio di un terrorista. Non mi pento di quello che ho fatto perché se uno si pente non è uomo”. Toni diversi dagli avvocati della Minetti, Paolo Righi e Pasquale Pantano: “Con la Minetti si continua a usare la clava e fortunatamente la Cassazione non è a Milano”. I legali sono convinti dell’innocenza della loro assistita e anche che “questo processo vada celebrato a Monza”. Quindi quella della competenza territoriale sarà una delle questione che riproporranno nel loro ricorso davanti alla Suprema Corte con cui chiederanno l’annullamento del verdetto.

Si dice “amaramente sorpreso” Fede che ha appreso l’esito della sentenza dalla televisione: “Ho sentito solo un momento il mio avvocato, l’avvocato Paniz – dice all’AdnKronos – ma non so nulla di più di quello che ho sentito alla tv”. Tuttavia Fede aggiunge: “Tutta questa vicenda si commenta da sola. Rispetto la sentenza, ma mi viene da sorridere al pensiero che le serate di Arcore siano diventate il motivo dominante di tre anni della storia politica”. Anche Paniz che difende Fede assieme alla collega Alessandra Guerini, ha preannunciato che farà ricorso in Cassazione. “Le sentenze vanno rispettate e la Corte d’Appello ha dimostrato di essersi impegnata molto”, ha spiegato Paniz, chiarendo anche che Fede, qualora dovesse essere condannato anche in Cassazione, “non finirà in carcere”, ma ci sarà la possibilità, data la sua età, di chiedere i domiciliari.

Non è secondario ricordare che Paniz è stato un parlamentare del Pdl fino al 2013, ma in particolare fu lui a presentare la risoluzione votata dalla maggioranza (in pratica Popolo delle Libertà, che allora comprendeva le attuali Forza Italia e Nuovo Centrodestra, e Lega Nord) con cui la Camera respinse la richiesta dell’autorizzazione per le perquisizioni negli uffici del ragionier Giuseppe Spinelli, l’uomo che teneva la contabilità della famiglia Berlusconi e soprattutto – in questo caso – pagava le cosiddette “Olgettine”. Pdl e Lega votarono quel giorno (3 febbraio 2011) la tesi di Paniz: cioè che Berlusconi era convinto che Ruby fosse davvero la nipote di Mubarak. “Sapete meglio di me che la tutela dei rapporti internazionali passa anche attraverso telefonate come questa!”. 

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