A 25 anni dalla caduta del muro di Berlino, fuori dai confini del ricco occidente, la politica internazionale continua a sporcarsi le mani con i dittatori, pagandoli profumatamente per combattere le guerre per procura contro i propri nemici. Ultimo esempio è quello dell’ex premier del Burkina Faso, deposto da una rivolta popolare che nulla ha da invidiare alla primavera araba.

Il curriculum di Blaise Compaoré ci racconta una delle tante storie tristi del post-colonialismo. Diventato presidente dopo l’assassinio di Thomas Sankara, il leader marxista del Burkina Faso che denunciò pubblicamente i giochi sporchi delle banche e dei governi occidentali per soggiogare con il debito i paesi africani, Compaoré stringe amicizia con tutti i dittatori africani, da Gheddafi a Charles Taylor. Allo stesso tempo mantiene con Parigi un rapporto molto stretto, che gli permette di promuovere gli interessi francesi in Africa. Per questo riceve sostegno su tutti i fronti, incluso quello politico, e questo in parte spiega come sia stato possibile per Compaoré essere stato rieletto presidente per un periodo di 27 anni.

Burkina Faso, proteste contro presidente: scontri

L’amicizia con la Francia ha poi aperto le porte di Washington. Dieci anni fa’ Compaoré è diventato uno degli amici dittatori, poiché di questo si tratta, di Washington tra cui c’era anche Mubarak, uomini eletti regolarmente attraverso elezioni truccate. Abbandonato il traffico di armi e di diamanti per la Sierra Leone, Compaoré è diventato un broker politico per gli americani e gli europei. Da una parte si è adoperato per risolvere il conflitto dei Tuareg nel Mali e dall’altra ha offerto le proprie basi aeree ai droni spia americani che volano principalmente sul Mali e sul Niger. A quanto pare Washington addestra anche l’esercito del Burkina Faso nella base militare di Kaya, che ha anche provvisto di materiale bellico per un valore di 1,8 milioni di dollari per le “missioni di pace”.

Dopo la morte di Gheddafi, tra queste “missioni” c’era quella di combattere i jihadisti del nord e centro Africa, che si sono impossessati di gran parte dell’arsenale del dittatore libico. Un compito che Compaorénha svolto non solo per gli americani ma per gran parte dei paesi europei.

Adesso, dopo la rivolta popolare, alla guida dello Stato c’è un altro militare, anzi i contendenti sono due Isaac Zida, che sabato mattina si è auto-dichiarato capo di stato del processo di transizione, e Honore Traore che ha fatto lo stesso un giorno prima.

Parigi e Washington si sono dette contente di questo cambiamento, in fondo Zida o Traore non fa alcuna differenza dal momento che chi controlla il paese è l’esercito, addestrato ed armato dall’occidente. Tutto fuorché un governo islamico, questo è il motto che risuona dall’Africa fino alla penisola arabica. Anche se il prezzo è la repressione dei moti spontanei democratici, lo abbiamo visto in Egitto ed adesso in Burkina Faso.

Insomma, stiamo assistendo senza battere ciglio al cambio della guardia dei dittatori mentre la gente scende in piazza per chiedere democrazia e giustizia? E tutto ciò avviene per tenere lontana la minaccia jihadista? Ma è mai possibile che nessuno si renda conto che questa politica non fa che alimentare la popolarità dei gruppi jihadisti, percepiti come la sola forza anti-imperialista e rivoluzionaria in queste regioni?

Discorso analogo vale in Siria dove la Russia e l’Iran sostengono un governo dittatoriale che protegge i loro interessi strategici nel mediterraneo contro la volontà del popolo che nel 2011 partecipò pacificamente alla primavera araba contro Assad.

A 25 dalla caduta del muro di Berlino, lungo i vecchi confini della Guerra fredda e nelle ex colonie occidentali, poco o nulla è cambiato, e la democrazia rimane un sogno irraggiungibile.

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