Una cassa d’espansione per il torrente Baganza, progettata da anni e con fondi stanziati da Regione e governo, avrebbe forse potuto evitare il disastro di Parma, sommersa dal fango dal pomeriggio di lunedì 13 ottobre, quando un’esondazione ha messo in ginocchio interi quartieri, colpendo 9mila famiglie e quasi mille abitazioni.

Ma l’opera, approvata nel 2011, non è mai stata realizzata. Dopo gli annunci, la priorità della struttura, pensata dopo un’altra alluvione che in quell’anno aveva messo in ginocchio la Bassa e il comune di Colorno, è passata in secondo piano e la cassa è presto finita nel dimenticatoio. Nonostante un protocollo sottoscritto il 2 aprile 2011 da Regione, Autorità di bacino del fiume Po Aipo, Provincia e Comune di Parma e comuni limitrofi, che aveva proprio l’obiettivo di “ridurre il rischio idraulico della città di Parma e del tratto del torrente Baganza da Sala Baganza a Parma”. E nonostante 16 milioni di euro stanziati sulla carta che sarebbero dovuti arrivare da ministero dell’Ambiente, Regione Emilia Romagna, Aipo e Protezione civile regionale. I lavori secondo l’accordo sarebbero dovuti cominciare nel 2012, ma a distanza di tre anni, di quell’opera non vi è traccia, mentre rimangono indelebili i danni provocati dalla mancanza della struttura, che avrebbe potuto evitare il disastro di Parma, ma anche forse quello di comuni come Sala Baganza, che in queste ore vivono disagi simili sempre a causa di alluvioni e smottamenti che hanno colpito la montagna parmense e la pedemontana.

Il progetto inspiegabilmente venne bloccato, complice prima la crisi del governo di Silvio Berlusconi, poi il taglio alle risorse di Mario Monti e le altre ben più gravi emergenze da affrontare in Regione come il terremoto, che hanno fatto calare l’attenzione da quella che un tempo era stata considerata una condizione irrinunciabile per salvaguardare il territorio. Eppure, anche se la cassa di espansione sul Baganza non ha mai visto la luce, il rischio era sotto gli occhi di tutti, soprattutto di coloro che hanno sempre operato nel parmense. L’ex assessore provinciale Andrea Fellini lo aveva ricordato anche di recente al nuovo governo di Matteo Renzi, segnalando più volte negli scorsi mesi la difficile situazione a causa del dissesto idrogeologico e denunciando l’emergenza, senza mai ottenere risposta. In una lettera inviata il 4 agosto ai ministri Maurizio Lupi, Maria Elena Boschi, Gian Luca Galletti, al coordinatore della struttura di missione contro il dissesto idrogeologico Erasmo D’Angelis e all’assessore regionale dell’Emilia-Romagna Paola Gazzolo, Fellini aveva segnalato le criticità del parmense, tra strade in dissesto, movimenti franosi che interessavano Val Parma, Val d’Enza, Val Taro e Val Baganza, per cui era stato fissato un piano di interventi che al primo posto prevedeva proprio la realizzazione della cassa d’espansione per il Baganza.

Un’opera che ora non può più attendere. “Quando sarà finita l’emergenza in città faremo la conta dei danni – ha commentato il sindaco Federico Pizzarotti – Sicuramente saranno molti di più di quanto sarebbe costata la realizzazione della cassa d’espansione. La prevenzione è importante, bisogna ripartire da quello e rimetteremo sul tavolo il progetto”. Un’esigenza di cui si sono fatti portavoce davanti al ministro Galletti i parlamentari Pd Patrizia Maestri e Giuseppe Romanini. “Nel maggio scorso – spiegano – il ministero dell’Ambiente aveva confermato lo stanziamento di 8 milioni di euro di competenza statale per la realizzazione delle casse di espansione del Baganza nell’ambito dall’accordo quadro siglato con la Regione Emilia-Romagna, che a sua volta ha destinato ulteriori 4 milioni”. All’appello mancherebbero solo i fondi nazionali, che ora è necessario sbloccare, visto anche lo stato di emergenza richiesto dal Comune di Parma. Sulla vicenda è già pronto un esposto denuncia in Procura del Movimento Nuovi consumatori per disastro colposo ed omissione in atti d’ufficio a carico di soggetti da identificare. “E’ tempo che chi sbaglia si assuma le proprie responsabilità, sia individuato e sia sanzionato nei termini di legge con un procedimento il più rapido possibile, affinché venga, finalmente, smentito il triste teorema sul fatto che nella nostra nazione chi sbaglia non paga mai”.

Nei quartieri allagati dalla piena intanto, 400 volontari arrivati da tutta la regione, a cui si sono uniti gruppi di cittadini, continuano a spalare il fango da scantinati, strade, case e negozi. L’elenco delle emergenze sembra essere infinito, anche se la situazione lentamente sta ritornando sotto controllo. Alcuni dei 17 sfollati potranno rientrare nelle loro abitazioni, la rete telefonica fissa e mobile di Telecom è stata quasi completamente ripristinata e le strade progressivamente riapriranno. “La cassa di espansione sul Baganza era un’opera di completamento, rimasta ferma perché probabilmente le risorse sono state destinate ad altre priorità – commenta Luigi Swich, capo gabinetto della Prefettura – Il sistema idraulico di Parma però ha tenuto, il territorio ha reagito bene e siamo stati all’altezza della situazione”.

A salvare il resto della città da un’altra piena, che avrebbe potuto avere conseguenze ben peggiori, sono state proprio le casse d’espansione sulla Parma, il torrente che taglia in due il territorio ducale in cui confluisce il Baganza. Per il piccolo affluente che in condizioni normali non fa paura, fatali sono state le precipitazioni record che avevano già fatto registrare la piena a Marzolara, sulle prime colline, nel primo pomeriggio di lunedì. A Calestano, in quella zona, la popolazione è senza acqua potabile da 48 ore e molte strade sono interrotte. In città la furia dell’acqua ha trascinato tutto, allagando tre quartieri, e dopo la paura sale anche la rabbia per quello che forse poteva essere evitato. Come la cassa di espansione mai costruita. O come due container di pesante metallo che trascinati dalla violenta corrente si sono abbattuti sul ponte pedonale della Navetta, distruggendolo, per poi sbattere e fermarsi su quello in via Po, una delle strade più danneggiate, facendo da tappo allo scorrere dell’acqua e provocando la fuoriuscita dell’ondata. “Si stanno facendo accertamenti su chi siano i proprietari – spiegano dalla municipale – e se quei contaneir fossero in regola, oppure collocati abusivamente nella zona golenale. Prima però dobbiamo capire da dove provengano”.

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