L’obiettivo sembra ragionevole: attuare un “sistema integrato e moderno di gestione dei rifiuti atto a conseguire la sicurezza nazionale nell’autosufficienza e superare le procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore”. Il mezzo è controverso: dichiarare per decreto gli inceneritori “infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale” e permettere il conferimento di rifiuti solidi urbani provenienti da altre Regioni per farli funzionare a pieno carico. L’esito finale non è scontato, ma in realtà l’articolo 35 del decreto Sblocca Italia dà soprattutto una boccata d’ossigeno alle ex municipalizzate che gestiscono gli inceneritori e un aiutino all’Enel che intenderebbe convertire alcune centrali a olio combustibile, ormai obsolete, in impianti di recupero energia dai rifiuti urbani e speciali. Il termine “boccata d’ossigeno” non è usato a caso: ai costi attuali, incenerire rifiuti per produrre energia non è un grande affare nemmeno se si dispone di impianti moderni ed efficienti. Ne sanno qualcosa a Verona, dove il sindaco Flavio Tosi e i vertici della municipalizzata Agsm hanno puntato molto sul contestatissimo progetto di Ca’ del Bue, salvo scoprire pochi mesi fa che senza incentivi l’impresa non sta in piedi. Al nuovo impianto, infatti, non sono stati riconosciuti i contributi Cip6 di cui beneficiava il vecchio inceneritore e la regione Veneto ha inoltre tagliato da 190 a 150mila tonnellate annue la quota di rifiuti destinata a Verona. Il presidente di Agsm, il leghista Paolo Paternoster, ha dichiarato all’Arena che l’impianto si potrebbe anche fare “con una potenzialità di sole 150mila tonnellate, ma dovremmo innalzare la tariffa di conferimento da 140 ad almeno 160 euro a tonnellata e noi questo non lo vogliamo”. La ragione è semplice: sarebbe una tariffa totalmente fuori mercato e tanto varrebbe – anche a costo di dover pagare delle penali all’impresa spagnola che si è aggiudicata la commessa – rinunciare alla costruzione.

Ora però il decreto Sblocca Italia mette in circolo la monnezza di tutta la Penisola dando nuove speranze al sindaco Tosi e ai suoi fedelissimi che vedono così cadere il limite regionale di 150mila tonnellate. Però, di lì a dire che l’impianto sarà economicamente conveniente ce ne passa. A Torino, dotata di un modernissimo impianto a tre linee, “la tariffa di conferimento è di 116 euro a tonnellata più il trasporto – dice Pietro Colucci, presidente e amministratore delegato di Kinexia e grande esperto di waste management – e la vicina Liguria deve decidere se spedirli lì, se spenderne circa 83 per conferirli in discarica o se fare come Napoli che smaltisce all’estero a un costo di 95 euro a tonnellata, più il costo del trasporto marittimo. Come sostengo da tempo, in Italia e in Europa si combatte una vera e propria guerra sui rifiuti con le imprese scandinave che praticano sconti sempre più aggressivi per far girare i loro impianti e con gli enti locali che si ritrovano a fare i conti con crescenti difficoltà di bilancio”. L’obiettivo dell’autosufficienza, dunque, non sembra così alla portata: “Dei poco più di 50 inceneritori presenti in Italia, ne resteranno una decina seri e di grandi dimensioni – sottolinea Colucci – i più piccoli sono destinati a chiudere al termine degli 8 anni di incentivi. Investimenti come quello di Torino, però, difficilmente verranno replicati: per fare l’impianto ci sono voluti 11 anni e a Firenze, dove avevano un progetto simile, Hera ha poi rinunciato”.

Insomma, incenerire non conviene più e da anni la politica europea sui rifiuti va in tutt’altra direzione, che è quella dei rifiuti zero, con altissimi tassi di raccolta differenziata, di riuso e di recupero. “Il modello di business deve cambiare – dice ancora Colucci – Noi a Chivasso con il Comune e la Consulta ambientale abbiamo avviato il progetto WastEnd per realizzare un polo per il riciclo dei materiali in loco e contiamo di poter recuperare o riutilizzare in altre forme circa il 90-95% dei rifiuti”. Il progetto prevede circa 50 milioni di investimento in 3 anni, ha una valenza fortemente innovativa (si sta anche valutando la possibilità di realizzare il primo impianto in Italia per il recupero dei materassi), una discreta ricaduta occupazionale (si prevedono dai 50 ai 70 addetti) e soprattutto va nella direzione indicata dall’Europa, quella appunto dei “rifiuti zero”. Curioso il fatto che un premier giovane, riformista che si propone in totale rottura con il passato abbia definito “infrastrutture strategiche” i vecchi inceneritori anziché i poli per il riuso e il recupero dei rifiuti che giocoforza saranno il futuro. Del resto si tratta di una scelta coerente con tutto l’impianto dello Sblocca Italia che replica la vecchia ricetta clientelare all’italiana con le regalie ai concessionari autostradali, la follia dell’Alta Velocità e il via libera alle trivelle per lo sfruttamento degli idrocarburi. Territorio, ambiente e cittadini, in questo schema, non sono proprio contemplati.

Riceviamo e pubblichiamo la seguente precisazione del gruppo Hera

Bologna, 15 ottobre 2014
In riferimento all’articolo comparso sul vostro sito il 10 ottobre 2014, dal titolo «Sblocca Italia, gli aiuti a Enel e alle ex municipalizzate con inceneritori “strategici”»,
a firma di Paolo Fior, il Gruppo Hera desidera precisare che non ha rinunciato al progetto del termovalorizzatore di Case Passerini (Firenze) come erroneamente riportato nell’articolo.
Attualmente, è in corso l’iter per l’approvazione delle autorizzazioni necessarie presso le autorità competenti (Provincia di Firenze), in parte già completato.
Il Gruppo Hera è partner dell’azienda Quadrifoglio Spa, attiva nei servizi ambientali nell’area fiorentina, nella realizzazione del nuovo termovalorizzatore. Insieme, si è dato vita alla società Qthermo, partecipata da Quadrifoglio al 60% e dal Gruppo Hera al 40%.

Ringraziamo Hera per la precisazione che mostra con la concretezza dei fatti gli evidenti vantaggi che il decreto Sblocca Italia porta alle ex municipalizzate impegnate nel business dell’incenerimento dei rifiuti.
Paolo Fior 

 

 

 

 

 

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