Gli Stati Uniti anche quest’anno si sono fermati a ricordare l’11 settembre come il giorno che cambiò il corso della storia. Ma dietro le celebrazioni in memoria delle tremila vittime delle Torri Gemelle, Obama ha commesso un altro errore di valutazione, ignorando che per molti giovani afghani la loro guerra cominciò già ben due giorni prima degli attacchi.

Ed in particolare quando Ahmad Shah Massoud saltò in aria insieme ad un videoregistratore-bomba che due sedicenti giornalisti, in realtà terroristi di Al Qaeda, gli avevano affidato con la scusa di intervistarlo. Da quel giorno in Afghanistan il 9 settembre è festa nazionale, in molti lo chiamano “il giorno di Massoud”, per celebrare uno dei più grandi mujaheddin anti-talebani capace di vincere da solo, come scrisse un giorno il Wall Street Journal, la Guerra Fredda.

Sunnita musulmano di etnia tagika, intraprese il suo impegno politico nei primi anni ’70 tra i movimenti studenteschi anti-sovietici dell’Università di Kabul. Fin quando imbracciò i fucili nel 1979 combattendo l’occupazione dell’Armata Rossa, per poi ritrovarsi i taliban faccia a faccia e dichiarargli guerra da comandante militare del Fronte islamico. Il coraggio gli valse il soprannome di “Leone del Panshir”, in memoria della sua valle natia.

Una belva tutto sommato mansueta, capace di salvare Kabul con la sola forza delle braccia proprio mentre l’Occidente era occupato a far fronte alle conseguenze del crollo sovietico in Europa orientale, e poi finito al centro della lunga faida tribale esplosa subito dopo, servita e nutrita dai centri strategici di Islamabad, Riyad e dai fondi delle compagnie petrolifere americane in favore dell’insorgenza talebana.

La ribellione in breve tempo prese la forma di un grande cavallo di Troia del nazionalismo pashtun, quindi il movimento venne intercettato da Al Qaeda e sfruttato come un host per promuovere la propria agenda globale. Osama bin Laden chiedeva il terrore, Massoud un Afghanistan libero e autonomo, dove i cittadini avrebbero potuto scegliere democraticamente il loro governo. Per questo morì, insanguinato da chi fino a qualche anno prima gli aveva combattuto al fianco ed ora non poteva tollerare il suo distacco dalla teocrazia islamica, la sua vicinanza agli oggetti terreni più che celesti, alla realtà dove la causa del kamikaze è un’esaltazione mistica separata da Allah.

E’ vero, Massoud non si è mai lasciato trascinare dalla moderazione. Nel suo partito, lo Jamiat i-Islami – con a capo Rabbani – chiedeva e voleva un paese islamico, fondato sulla legge islamica, e per questo negli ambienti politici occidentali gli affibbiarono l’etichetta del fondamentalista, un marchio al quale lui mai si oppose, e che tra l’altro riuscì a qualificare con apprezzata intelligenza.

Anche Obama con ogni probabilità oggi lo definirebbe un ex “signore della guerra”, sebbene sia stato in passato ministro della Difesa di un governo riconosciuto dall’Onu. Ma sbaglierebbe. Massoud manca all’Afghanistan, e dovrebbe mancare anche a Washington, specialmente in un momento in cui tutto il Medio Oriente è sull’orlo di una guerra tra civiltà davanti alla quale la risposta con il fuoco non sembra più sufficiente.

Si può ricordare e scrivere la storia in molti modi. La realtà è che oggi gli Stati Uniti lasciano un Paese sottosviluppato, tra i più corrotti e poveri del mondo, con qualche autostrada in più costruita solo per scopi militari. E lasciano un popolo che li odierà più di prima, dove naturalmente la miccia della ribellione anti-Usa non si è mai spenta.

Mentre la Nato porta a compimento la sua exit strategy, l’Afghanistan rischia di incendiarsi nuovamente. Con ogni probabilità il vuoto di potere peserà più che in Iraq, dove gli orrori del decennio passato hanno iniziato a riproporsi con una forza ancora più inquietante. E se dalla Casa Bianca la scorsa settimana si fosse levata una voce in ricordo anche del “Leone”, probabilmente si sarebbe dato il segno che sì, il corso della storia in quel settembre del 2001 davvero cambiò. Ma con un passo rivolto in direzione della pace mondiale, non solo degli americani.

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