Carlo Cottarelli, alla fine, molla la presa. Secondo il Corriere della Sera già in ottobre il commissario alla spending review, che lunedì ha incontrato a Palazzo Chigi il premier Matteo Renzi e i ministri Pier Carlo Padoan e Maria Elena Boschi per discutere dei tagli ai ministeri, riprenderà servizio al Fondo monetario internazionale di Washington, dove fino alla “chiamata” di Enrico Letta dirigeva il dipartimento Affari fiscali. Un addio in sordina, stando al retroscena del quotidiano di via Solferino: niente porte sbattute e nessuna polemica con il governo. In pratica, il benservito. Perché è di tutta evidenza che il rapporto dell’economista cremonese con Renzi era compromesso da mesi di annunci e smentite sui possibili taglisfoghi contro le resistenze della “macchina” parlamentare  e polemiche per la mancata diffusione dei 25 “dossier” con indicazioni puntuali su dove affondare il bisturi. E, a dimostrare che di rottura si è trattato, c’è il fatto che l’incarico ricevuto il 23 ottobre 2013 da Letta aveva (lo prevede il “decreto del Fare”) durata triennale. Mentre tutto fa pensare che l’uscita si consumerà verso metà ottobre, subito dopo la presentazione della legge di Stabilità. A meno di un anno dall’insediamento, dunque. Per far spazio, probabilmente, al consigliere economico di Renzi, Yoram Gutgeld, presente anche al vertice di lunedì. 

Quando prometteva “risultati visibili fin dall’inizio” – E i risparmi, che secondo il premier dovranno ammontare a 20 miliardi già quest’anno anziché i 17 preventivati? Arriveranno da tagli semilineari del 3% a ogni dicastero, da concordare con ogni ministro. Insomma: l’esito di un anno di lavoro di decine di esperti sembra essere la solita sforbiciata “orizzontale” su tutte le articolazioni dell’esecutivo, a partire dalla presidenza del Consiglio. Un risultato ancora più deludente se si ripercorrono dichiarazioni e promesse degli ultimi 365 giorni. Nell’ottobre 2013, fresco di nomina (poi sarebbero arrivate anche le polemiche sul suo stipendio, 258mila euro l’anno, a cui avrebbe risposto rinunciando all’auto blu in favore del taxi), Cottarelli spiegava: ”Occorrerà del tempo per raggiungere gli obiettivi di risparmio, ma è importante procedere rapidamente sulla strada già avviata e ottenere risultati visibili fin dall’inizio”. Un mese dopo, il 21 novembre, dichiarava con malriposto ottimismo: ”Abbiamo battuto la Germania nel calcio per 16 anni, ora possiamo benissimo batterla sul terreno dell’efficienza”. Come? “No ai tagli lineari”, ma “colpire gli sprechi”. Comprese ”le pensioni d’oro e d’argento”, anticipava il commissario. Per poi promettere: “Non credo che dobbiamo aspettare il 2015: nel corso del 2014 c’è la possibilità di ridurre gli sprechi e la tassazione”. 

Un feeling mai nato e la rottura di fine luglio – Ma con il presidente del Consiglio non c’è mai stato feeling. Il 29 novembre 2013, intervistato da SkyTg24 in piena campagna per le primarie Pd, l’allora sindaco di Firenze dichiarava: i 32 miliardi di spending review sono “una cifra raggiungibile, ma il metodo col quale commissario e governo sono partiti non mi convince per niente”, la revisione si fa “mettendo online tutte le spese, non facendo i professoroni a dare numerini” né “semplicemente con un tavolo di lavoro”. Insomma: i tagli sono una questione tutta politica e non vanno demandati ai tecnici. Concetto ribadito da Padoan il 7 agosto, parlando alla Camera. Il punto, chiaramente, è l’impatto che le decisioni più impopolari possono avere sul consenso dell’esecutivo. Non è un caso se, soprattutto prima delle (per lui trionfali) elezioni Europee, Renzi ha più volte smentito Cottarelli escludendo ritocchi sul capitolo pensioni e chiudendo la porta all’ipotesi di esuberi tra gli statali. L’attrito è diventato palpabile a fine luglio, quando Cottarelli ha affidato al proprio blog su revisionedellaspesa.gov.it un grido d’allarme sull’utilizzo “preventivo” di risparmi non ancora ottenuti per aumentare la spesa stessa. In particolare per consentire l’uscita anticipata dal lavoro di 4mila insegnanti “bloccati” dalla riforma Fornero. Passano due giorni (31 luglio) e l’ex sindaco di Firenze scarica pubblicamente il commissario facendo sapere che i tagli “si fanno anche se va via”. “Continuo a lavorare”, assicura una settimana dopo Cottarelli presentando in Parlamento il piano dei tagli alle partecipate. Piano le cui prime previsioni (chiusura delle società inattive e molto piccole, avvio delle privatizzazioni) avrebbero dovuto essere contenute nel decreto Sblocca Italia presentato il 29 agosto. Niente da fare: tutto rimandato alla legge di Stabilità.

“Il commissario? Non decide nulla” – Cottarelli deve aver subodorato come sarebbe andata a finire, visto che poche ore prima della riunione del consiglio dei ministri ha convocato per il lunedì successivo, l’1 settembre, una conferenza stampa per ribadire la possibilità di ottenere, a regime, 2-3 miliardi di risparmi. Premettendo però che il ruolo del commissario è “solo fare proposte, non decide nulla”. Triste conclusione per chi neanche un anno prima assicurava “risultati visibili fin dall’inizio”. 

Il precedente di Bondi – Cottarelli è il secondo “caduto” sulla via della spending review dopo Enrico Bondi, che prese servizio nella primavera del 2012 (governo Monti) e presentò le dimissioni nel gennaio 2013. Ma allora la causa scatenante non era una diversa visione su come e dove tagliare, bensì le polemiche scatenate dalla scelta dello stesso Bondi come supervisore delle liste di Scelta Civica, il partito dell’allora presidente del Consiglio. 

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