La ‘politica’ delle riforme? “Più potere all’Ue”. La ‘realizzazione’ di queste in Italia? “Capacissimi di farle da soli”. Il tempo a disposizione? “Abbastanza”. Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan sposa in pieno la linea del presidente Bce Mario Draghi (che esattamente un mese fa aveva sostenuto che per i paesi dell’Eurozona “è momento di cedere sovranità all’Europa sulle riforme strutturali”), risponde indirettamente al governatore di Bankitalia Ignazio Visco (“L’Italia non ha tempo sufficiente per fare le riforme”) e sceglie una strada diversa da quella indicata dal capo del governo di cui fa parte. Perché Renzi, ad agosto, dopo tre giorni dalla presa di posizione del numero uno della Bce, non esitò a sottolineare che “non è l’Europa che ci deve dire cosa fare”.

Padoan sostiene un concetto diverso, e lo dice dal workshop Ambrosetti di Cernobbio: non certo un posto dove le sue parole potevano passare inosservate. “Noi faremo la nostra parte e l’Europa farà la sua” è il pensiero del ministro dell’Economia, le cui tesi per la crescita (che saranno presentate venerdì prossimo all’Ecofin che si terrà a Milano) sono state anticipate domenica da sei quotidiani europei (in Italia da La Stampa di Torino). Nel suo intervento sui giornali, il titolare di via XX Settembre spiega ‘organicamente’ il suo obiettivo e i modi per raggiungerlo.

Una strategia (il patto per la crescita) in tre mosse: ancorare il “fiscal compact” ad un “growth compact”, un patto per la crescita; affidare il “monitoraggio dei livelli di attuazione” delle riforme “sulla base di benchmark puntuali” all’Eurogruppo e all’Ecofin; ripristinare gli investimenti al livello pre-crisi. Il tutto condito dalla richiesta a Bruxelles di strumenti per contrastare i centri di potere che si oppongono alle riforme. Obiettivo: “evitare di andare verso quello che verrebbe ricordato come ‘il decennio perduto dell’Unione Europea‘”. “Un numero crescente di indicatori ci ricorda che finora non è stato fatto abbastanza”, e il rischio è un “abbassamento permanente del tasso di crescita” scrive il responsabile del Tesoro, secondo cui “adesso dobbiamo quindi fare per la crescita ciò che è stato fatto, sotto la pressione della crisi dei debiti sovrani, per il risanamento dei bilanci pubblici e per l’unione bancaria”, con un patto per la crescita. Per far questo, a leggere Padoan, è essenziale la “realizzazione delle riforme strutturali“, la cui attuazione “è stata finora insoddisfacente, e questo suggerisce che i Paesi spesso concedono alle riforme strutturali un tributo verbale senza impegnarsi nella loro attuazione”.

Da qui l’idea del “monitoraggio dei livelli di attuazione sulla base di benchmark puntuali” come “attività ordinaria dell’Eurogruppo e dell’Ecofin”, anche per “includere gli effetti delle riforme sulla crescita futura nel calcolo delle compatibilità macroeconomiche nazionali” e “fornire esplicitamente alle autorità nazionali strumenti per contrastare i gruppi di pressione che si oppongono alle riforme strutturali”. Padoan, in tal senso, paragona Unione Europea ed Eurozona a squadre di calcio che “hanno dedicato molte più energie al rafforzamento della difesa che all’attacco”, dando “priorità alla stabilità anziché alla crescita”, ma – conclude – “nessuna partita si vince giocando soltanto in difesa”.

Questo sui giornali. Poi, a Cernobbio, la risposta a Visco sui tempi delle riforme, la ‘sterzata’ verso la strada tracciata da Mario Draghi, ma senza perder d’occhio il suo premier. Perché “l’Italia è capacissima di fare le riforme da sola”. Un concetto ripetuto più volte: per Renzi, per Draghi, per Visco. Che in un’intervista a Repubblica ha detto che “gli investimenti dipendono anche dallo stato di certezza o incertezza”, che “la Bce ha cambiato passo e ora l’Italia ha poco tempo per trasmettere un disegno organico e fare chiarezza sulle riforme”.

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