“Non sarà una rivoluzione ma una evoluzione, vogliamo rendere Alitalia più sexy”. E’ stato con queste parole che l’amministratore delegato di Etihad, James Hogan, ha messo l’anello al dito di Alitalia. Dopo mesi di trattative e colpi di scena, venerdì 8 agosto l’ex compagnia di bandiera ha infatti siglato l’intesa che permetterà al vettore aereo del Golfo, di diventare socio al 49% della nuova Alitalia con un investimento 1,758 miliardi di euro. Di questa cifra 560 milioni saranno destinati all’acquisto della partecipazione azionaria della seconda Fenice e il resto servirà a finanziare nuovi progetti. Va, dunque in porto il secondo salvataggio dell’ex compagnia di bandiera a un costo per la collettività che resta alto, sebbene nettamente inferiore ai circa 4 miliardi del primo paracadute offerto alla compagnia dal governo Berlusconi nel 2008. Difficile al momento fornire una cifra precisa, ma di sicuro l’esborso per le sole casse dello Stato non sarà inferiore ai 600 milioni. Inclusi i circa 300 milioni di risparmi che la compagnia realizzerà nel 2014 sul costo del lavoro e che sono destinati a trasformarsi in oneri sociali attraverso gli ammortizzatori e il blocco dei contratti. La cifra inoltre non tiene conto anche di altri “costi occulti” del salvataggio come la “tassa” di tre euro a biglietto sui passeggeri di tutte le compagnie per finanziare l’integrazione di stipendio per i dipendenti in eccesso dell’intero comparto aereo. E poi ancora i costi del caos bagagli nel pieno delle vacanze estive e degli scioperi per i 2.251 esuberi. 

Lo Stato ha del resto soccorso in vario modo la malandata compagnia di bandiera. Innanzitutto via Poste Italiane, secondo socio di Alitalia con il 19,48 per cento, che ha messo sul piatto complessivamente 150 milioni in due tranches. Di questa cifra settantacinque milioni sono stati sborsati a dicembre durante la gestione dell’ex ad Massimo Sarmi e sono stati ampiamente bruciati dalla compagnia. Altri 75 milioni arriveranno con il prossimo aumento di capitale da 300 milioni necessario alla sopravvivenza dell’azienda assieme ad un prestito ponte da 200 milioni. Il denaro però non finirà nella “fornace” della vecchia Alitalia. Il nuovo ad delle Poste, Francesco Caio, ha chiesto e ottenuto di diventare azionista della nuova società in cui investirà la compagnia del Golfo. Un’operazione complessa, quella congegnata da Caio, realizzata attraverso una scatola intermedia, detta midco, che eviterà a Poste di accollarsi gli oneri del passato che resteranno confinati nel vecchio gruppo, la bad company.

Il sostegno all’Alitalia dalle casse pubbliche non si è fermato però qui. Già ai tempi del governo Letta, Palazzo Chigi aveva stabilito una serie di incentivi a favore del settore mettendo le mani nelle casse dell’Enav per la copertura finanziaria (61 milioni). Destinazione Italia, in particolare, aveva deciso che le indennità di volo, concesse al personale navigante, non sarebbero finite per il 2014 nel computo del reddito ai fini contributivi. Operazione possibile grazie appunto a 28 milioni di fondi Enav. Ora il governo Renzi vorrebbe rincarare la dose con lo Sblocca-Italia dove si prevede che la misura venga allungata fino al 2017 portando il conto del sussidio (finora solo stimato) fino a 112 milioni spalmati su quattro anni. 

Di tutti questi fatti e del ruolo dello Stato nella partita Alitalia terrà conto Bruxelles dove il dossier delle nozze con Etihad è già stata depositato da tempo, ma necessita di integrazioni legate alla nuova struttura dell’intesa. Nell’ipotesi in cui tutto fili liscio, le nozze saranno quindi celebrate per la fine dell’anno. O, almeno, è quanto si augura il management di Alitalia che sa bene quanto sia importante far ripartire l’azienda che ha archiviato il 2013 anno con perdite record per 588 milioni e continua a bruciare cassa. Più infatti i tempi si allungano, maggiore sarà la liquidità necessaria al gruppo per tenersi in piedi prima di ripartire accanto ad Etihad. Un dettaglio non da poco per le banche creditrici e, nei primi due casi, azioniste, Intesa, Unicredit, Mps e Popolare di Sondrio che rinunceranno a 565 milioni di crediti su un miliardo di debiti finanziari.

Il bilancio dell’operazione di sistema per gli istituti di credito è molto pesante. Soprattutto per Intesa, che guidò il salvataggio 2008 con l’allora amministratore delegato Corrado Passera: la banca ha bruciato 176 milioni nella ricapitalizzazione, ha cancellato 40 milioni di debiti e dovrà investirne altri 90 milioni per convertire parte dell’esposizione in azioni. Soltanto nel primo semestre 2014, l’impegno dell’istituto nella compagnia è costato 188 milioni tra rettifiche, accantonamenti su crediti e svalutazioni. In particolare, si legge nella relazione ai conti da gennaio al 30 giugno, nel periodo Intesa ha provveduto a “svalutare integralmente il residuo valore di carico della partecipazione”, pari a 38 milioni, a “costituire un fondo rischi ed oneri di 30 milioni a fronte delle perdite che la società sta subendo” e a “rettificare i crediti per cassa, attualmente pari a circa 160 milioni, per un importo di 119 milioni”. E così “l’incidenza sul conto economico semestrale è stata di 188 milioni, al lordo della fiscalità”. Il documento, chiuso prima dell’intesa sulle nozze, ricorda l’impegno di Intesa “a favorire una positiva soluzione della trattativa” con Etihad allo scopo di “tutelare nel modo migliore la propria esposizione e favorire una positiva soluzione della crisi” della compagnia di bandiera. 

L’avventura aerea è costata cara anche a Unicredit con prestiti che non rientreranno più (80 milioni) e che diventeranno capitale (160 milioni), oltre a 50 milioni sfumati con la ricapitalizzazione di dicembre. Mps e Popolare di Sondrio sono riuscite a limitare i danni per via del minore coinvolgimento nel salvataggio targato Cai. Ma sul fuuro pesa un’altra variabile: le banche avranno in pancia ancora titoli Cai sperando di non essere costretti a svalutarli in futuro come già accaduto in passato. Il timore è diffuso nell’attuale azionariato della compagnia. Non a caso dal prossimo aumento di capitale si sfileranno i soci Toto, Marcegaglia e Gavio lasciando il campo a Intesa (88 milioni), Poste (74 milioni), Atlantia dei Benetton (50 milioni), Unicredit (65 milioni) e altri azionisti minori (25 milioni) fra cui la Immsi di Roberto Colaninno e la Pirelli di Marco Tronchetti Provera.

Nonostante tutti i sacrifici pubblici e privati, per Alitalia è però ancora presto per cantare vittoria. Concluse le trattative con banche, soci e sindacati e siglata l’intesa con Etihad, la compagnia e l’intero progetto finiranno sotto la lente di Bruxelles che non solo dovrà dare l’ok all’ingresso degli arabi nell’ex compagnia di bandiera, ma dovrà anche esprimersi sul ruolo di Poste il cui sostegno all’operazione potrebbe configurarsi come aiuto di Stato. Lo sa bene la compagnia degli emirati che ha posto come clausola di validità dell’accordo l’ottenimento del via libera da parte delle autorità comunitarie. Insomma manca ancora tempo al decollo che, con ogni probabilità, vedrà in cabina di pilotaggio in qualità di presidente, Luca Cordero di Montezemolo.

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