Immagino che a Fort Alamo i messicani, anche quelli pacifici, fossero malvisti dalla truppa texana. Non è diverso l’atteggiamento dei matematici dei settori più “puri” (per esempio Algebra e Geometria) nei confronti di chi, fra di loro, s’interessa alle applicazioni. Le motivazioni sono le stesse: dall’esterno provengono pressioni fortissime a cui si vorrebbe resistere, perciò chi all’interno sembra simpatizzare col nemico fa le spese della situazione.

Da anni i varî governi, soprattutto attraverso i finanziamenti ministeriali, insistono sulla immediata spendibilità della ricerca. Questo è un atteggiamento miope; solo su una solida base culturale possono nascere le idee, le innovazioni che produrranno anche una crescita economica: la Storia ce lo insegna! Si potrebbe anche capire un’impostazione del genere in nazioni prive di una tradizione culturale, ma non in Italia. Nei nostri dipartimenti di Matematica, per esempio, si svolgono ricerche di altissimo livello, apprezzate a livello internazionale, che per la loro stessa generalità (e quindi per la loro potenza) non sono passibili di applicazione immediata. Sacrificarle è stupido. Parlo dell’ambito che conosco, ma sono convinto che situazioni analoghe si presentino in altri settori di ricerca di base.

A questo punto come reagiscono i matematici puri? Accade che fra i matematici nasca una vera e propria repulsione per gli aspetti applicativi; quei pochi quattrini che arrivano saranno gelosamente diretti alle ricerche più pure; ai matematici interessati alle applicazioni si indica la strada verso i dipartimenti di ingegneria. Quanto spesso ho sentito la frase autocastrante “Ma questa non è matematica” riferita a bellissime tesi di dottorato che sfruttavano strumenti geometrici in ambito robotico! Ancora peggio è stato sentire un’autorità matematica italiana suggerire: “L’Ente *** ci accorda un finanziamento cospicuo se svolgiamo ricerche utili per le nanotecnologie; perciò diamoci da fare a infilare in qualche modo questa parola nei rapporti sulle nostre ricerche”.
Un riflesso negativo di questa linea di pensiero (la rivalsa dei matematici puri nei confronti della “enclave” dei matematici orientati alle applicazioni) si è avuto nei recenti concorsi universitari di abilitazione a professore associato e ordinario.
Vi devo spiegare un punto tecnico. Su indicazione del ministero dovevano essere utilizzati anche gli “indicatori bibliometrici“, numeri che registrano l’impatto delle pubblicazioni dei candidati sulla comunità scientifica, attraverso le citazioni che gli articoli scientifici dei candidati ricevono da altri autori. Alcune commissioni hanno esplicitamente trascurato l’impatto sulla comunità in grande (valutato sui database Web of Science e Scopus e fornito dallo stesso ministero), restringendo l’analisi all’impatto sulla comunità strettamente matematica (database MathSciNet). 

Questa scelta, oltre a condizionare gli esiti del concorso, rappresenta una posizione ideologica pericolosa. Secondo i commissari, dunque, le citazioni all’esterno della ristretta cerchia matematica valgono meno? Sarebbe una posizione suicida e anche ipocrita, visto che noi matematici spesso magnifichiamo con zelo, all’esterno, l’applicabilità della nostra disciplina.

Credo che sia ora di aprire un franco dibattito sulla matematica per le applicazioni. Certo, tutta la matematica è applicabile, ma sempre più le nuove tecnologie sollecitano nuovi sviluppi, modelli, teoremi. Se si ritiene che questa fonte di ispirazione sia meno importante e da scoraggiare, è ora che lo si dica apertamente e ci si confronti su questo con la comunità scientifica e con la società in generale: non si può farsene un fiore all’occhiello in giornali e televisione per poi bocciarla nel chiuso delle commissioni. E forse si potrà evitare di finire come ad Alamo

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