L’ex segretaria di Pierluigi Bersani, Zoia Veronesi, è stata assolta in primo grado con il rito abbreviato dal giudice per le udienze preliminari Letizio Magliaro perché il fatto non sussiste. Era accusata di truffa aggravata ai danni della regione Emilia-Romagna. Stessa sentenza per Bruno Solaroli, ex capo di gabinetto della giunta di Vasco Errani all’epoca dei fatti,che era accusato di truffa in concorso.

Secondo la ricostruzione della procura della Repubblica di Bologna oggi smentita dal Gup, Zoia Veronesi aveva percepito indebitamente dall’amministrazione regionale di viale Aldo Moro, di cui all’epoca dei fatti contestati – tra giugno 2008 e marzo 2010 – era una dipendente, circa 140mila euro di stipendio per svolgere a Roma l’incarico di raccordo tra Regione e Stato centrale. Un anno e mezzo in cui Veronesi, sempre secondo l’accusa del pm Giuseppe Di Giorgio, avrebbe lavorato esclusivamente per il segretario del Partito democratico Bersani, senza alcuna mansione pubblica. “Ero certa di questa sentenza” , ha detto commossa Veronesi all’uscita dall’aula.

La vicenda giudiziariaZoia Veronesi inizia a lavorare accanto all’ex candidato premier 20 anni fa. Nel tempo diventa la sua ombra: “Chi vuole parlare con lui deve passare da me”, ammette lei stessa. È a fianco a lui quando Bersani è presidente della giunta regionale, per poi seguirlo anche quando fa ministro dell’Industria negli anni Novanta e poi tra il 2006 e il 2008. In questi periodi ‘romani’ si mette in aspettativa dal suo posto di dipendente pubblica. Nel maggio 2008, poco dopo la fine del governo Prodi, il capo di gabinetto della giunta Errani, Bruno Solaroli, ex parlamentare Pci-Pds-Ds ed ex sindaco di Imola (difeso dall’avvocato Cristina Giacomelli), firma un documento che dal primo giugno “spedisce” a Roma la funzionaria (che nel frattempo era tornata a Bologna dopo la fine dell’esperienza ministeriale di Bersani).

Ufficialmente Zoia Veronesi deve lavorare per conto dell’ente guidato da Vasco Errani. Ma, dopo un esposto sulla vicenda presentato in procura della Repubblica a marzo 2010 dal senatore finiano Enzo Raisi, il pm Di Giorgio inizia a indagare e in poco tempo arriva alla sua conclusione: in quei mesi a Roma tra il giugno 2008 e il marzo 2010 non ci sarebbe stata traccia del lavoro di raccordo tra Regione e Stato centrale da parte della funzionaria. Intanto nel marzo 2010, nelle stesse settimane dell’esposto di Raisi, Zoia Veronesi inizia a lavorare per il Partito democratico, diventando capo della segreteria di Bersani, lasciando definitivamente il posto pubblico in Regione (“Ho annunciato la mia richiesta di dimissioni il 28 gennaio 2010”, ha sempre detto lei).

A ottobre 2012, in piena campagna per le primarie tra Bersani e Matteo Renzi per la candidatura a premier, il pm Di Giorgio iscrive al registro degli indagati la donna e Solaroli, mentre la Guardia di Finanza viene mandata alla sede del Pd nazionale a Roma per cercare documenti e sentire i colleghi di lavoro di Veronesi. Evidentemente però gli indizi forniti dall’accusa non hanno convinto il giudice Magliaro, che si è preso 90 giorni per depositare le motivazioni della assoluzione. “In questi quattro anni la mia vita è stata sottoposta ai raggi X. La mia, quella di mio marito, di mia madre, di mia figlia. Si è scavato in un modo veramente molto meticoloso. In alcuni momenti è stato anche abbastanza umiliante. Sono ferite che difficilmente si rimarginano. Non riesco neanche ad essere contenta”, ha detto Veronesi dopo la sentenza. Poco dopo lo stesso Bersani ha commentato la sentenza: “È finita come doveva finire e come non doveva nemmeno cominciare. Se la vita di una persona perbene come Zoia Veronesi è stata passata ai raggi X e se il suo nome è finito in prima pagina per fatti inesistenti, è solo perché è stata la mia segretaria. Si potrà dunque capire la mia soddisfazione”.

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