Tass è il titolo del documentario dedicato a Stefano Tassinari. Una parola secca e affilata come un rasoio, allo stesso tempo rassicurante come un abbraccio. Si tratta delle quattro lettere iniziali del cognome, anzi dell’abbreviazione, del protagonista della produzione che un altro Stefano, Massari, gli dedica a due anni dalla scomparsa. “Tass – storia di Stefano Tassinari”, mercoledì 11 giugno alle 18.30 al cinema Lumiere per la decima edizione del Biografilm Festival, è la summa visiva in immagini, parole e suoni di un grande intellettuale ed immenso uomo che ha elevato il sapere e la conoscenza, la scrittura e la politica, la cultura e l’etica, ad un livello pressoché insuperabile per chiunque voglia avvicinarsi oggi.

Costante autore di romanzi sulla memoria del nostro Paese e sui soprusi nel mondo (L’amore degli insorti, L’ora del ritorno, tra gli altri), instancabile progettatore di iniziative culturali (Ritagli di Tempo, La Parola Immaginata, su tutti), Tassinari in fondo non è mai morto. La sua lezione, la lezione dell’emancipazione dell’uomo, debole, sfruttato, reso volgare dalle televisioni e dalle banalità del male, rimane intatta dopo 730 giorni in sua assenza. “Ho deciso di girare questo documentario la mattina in cui mi sono trovato davanti alla camera ardente di Stefano”, ha spiegato Stefano Massari a poche ore dall’anteprima italiana del film, “c’era un uccellino che nonostante la gente passasse continuava a becchettare e si spostava appena. Ho capito che quella determinazione andava raccontata”.

Solo per queste poche parole Stefano Massari è l’artista più adatto per raccontare Tassinari: una buona dose di follia, di rigore e di speranza, forse anche di piacere nello spiegare chi fosse quel piccolo ferrarese, nato alla vigilia di Natale del 1955, con un nonno comunista che in giacca e cravatta amava creare sconquassi: “Ci sono due versioni del documentario: una da due ore e quaranta, l’altra da due ore e dieci anche se per la prima di mercoledì devo tagliare a 90 minuti”, continua Massari, “Stefano era un seme variegato e complesso che ha costruito un modello unico di comportamento culturale. Per questo ho diviso il lavoro in due parti – la formazione storica, poi gli ultimi dodici anni da scrittore e animatore culturale. Per farlo ho intervistato oltre 50 tra testimoni e conoscenti. Posso solo dire che non l’abbiamo perso. La sua parola è sempre lì”.

Eccolo allora, Stefano Tassinari, nelle prime immagini disponibili: ai fornelli con in mano un mestolo e di fianco la sagoma di Pino Cacucci; con una barba lunghissima nera e salopette da meccanico ad arringare la folla in un comizio alla fine degli anni settanta per Democrazia Proletaria; con Erri De Luca e Francesco Guccini in una delle sue serate letterarie a San Lazzaro di Savena; con la moglie Stefania; gli amici Mauro Pagani, Fois e Lucarelli; o ancora le parole fraterne di Wilma Labate, Salvatore Cannavò, Marco Baliani. C’è il basso alla Paul McCartney – lui che amava i Rolling Stones senza se e senza ma – comprato con i risparmi della raccolta di mele in campagna. C’è l’aneddoto del trasferimento scolastico forzato da Ferrara ad Argenta perché era politicamente una testa calda quando ancora non era maggiorenne. Guardi le immagini del racconto di una vita, recuperate, selezionate e montate da Massari, e devi inforcare gli occhiali da sole per non mostrare la lacrima. Lasciarci soli all’improvviso è stato l’unico sgarbo vero che a Tassinari è capitato di fare. Ricordarci ancora una volta di lui guardando ogni minuto di Tass, era il minimo che la sorte potesse ridarci indietro per quella maledetta dipartita.

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