La settimana appena trascorsa non solo ha visto la celebrazione della Giornata Internazionale contro l’omo-transfobia, ma anche il proliferare in tutta Italia iniziative organizzate dalle associazioni Lgbt in nome della fine delle discriminazioni. Questo evento, che ha coinvolto per altro le amministrazioni comunali di diverse città (si pensi a Roma e alla Queer Week, in occasione della quale il sindaco Marino ha esposto la bandiera rainbow in Campidoglio, gesto emulato da altri sindaci, come Bianco a Catania e Garozzo a Siracusa, solo per citare le mie tre città) è un’utile occasione per fare alcune riflessioni sulla questione omosessuale in Italia.

arcigay-contro- omofobiaInnanzi tutto, sulla cosiddetta irrilevanza delle associazioni. Le iniziative organizzate da Nord a Sud, nelle realtà più grandi (come Roma, già citata) e in quelle più piccole (significativa a tal proposito l’esperienza del Movimento Pansessuale a Siena) dimostrano che nel nostro paese a portare certe istanze culturali sono, appunto, le realtà Lgbt, sia di respiro nazionale (come Arcigay) sia caratterizzate territorialmente (si pensi al Circolo Mario Mieli nella capitale). Se queste non ci fossero, non ci sarebbe un retroterra di pensiero – quello dell’uguaglianza formale e giuridica – da cui i partiti hanno attinto ma che stentano a tradurre in un programma concreto di interventi reali.

Questa considerazione ci porta a un’ulteriore analisi sull’esistenza di certe frange interne a specifiche realtà politiche che hanno partecipato, in un modo o nell’altro, alla Giornata contro l’omo-transfobia: mi riferisco soprattutto alla componente omosessuale dei renziani. Ho polemizzato con alcuni/e di loro proprio perché penso che non abbiano molti titoli di credibilità per parlare di lotta alle discriminazioni. Diciamocelo chiaramente: abbiamo in sospeso una legge, quella di Ivan Scalfarotto, che pende sulle nostre teste come una spada di Damocle che rischia di legittimare affermazioni omofobe dentro le scuole. E dalle affermazioni, si sa, discendono specifici comportamenti. Matteo Renzi aveva promesso, tra piani di salvezza nazionale e rivoluzioni varie ed eventuali, una risposta certa sulle unioni civili (insieme allo ius soli). Entro i primi cento giorni, per l’esattezza. Il tempo è scaduto e la questione non è stata affrontata minimamente. Lo stesso premier ha liquidato il tema, proprio in questi giorni, con un tweet: in Italia c’è molto da fare sull’omofobia. Ne prendiamo atto. Anzi, dirò di più: lo diciamo da anni. Ma cosa si è fatto, fino ad ora? Nulla. Condito da un poco per di più fatto malissimo. E questa è una responsabilità solo della classe e di chi ne fa parte.

Tutti questi elementi, legati alla storia di un partito più famoso per gli insulti contro le famiglie omogenitoriali, contro i matrimoni tra persone dello stesso sesso e contro i singoli individui che hanno la colpa di non essere eterosessuali (ricordiamoci di Rosy Bindi e, più recentemente, del renzianissimo Adinolfi) gettano quindi poca credibilità se a parlare di lotta alle discriminazioni è, appunto, un simpatizzante o un rappresentante di un soggetto politico che ha molto da farsi perdonare. Non si offenderanno dunque  i/le supporter del premier quando si chiederà loro a che titolo parlano di certi argomenti.

Il terzo aspetto della questione riguarda, infine, le istituzioni. Perché è bello e giusto che si espongano i nostri vessilli e che si approvino i registri per le unioni civili a livello comunale. I simboli sono importanti. Ma dopo l’atto simbolico è fondamentale un corrispettivo concreto. Quelle stesse amministrazioni che si dimostrano sensibili verso l’argomento, dovrebbero poi fare pressioni al potere centrale perché alle parole seguano i fatti, ovvero: matrimonio ugualitario ed equiparazione reale delle situazioni affettive (tutte), difesa dell”mogenitorialità, possibilità di adozione, lotta (vera) all’omo-transfobia, nuove leggi di tutela per le persone trans, maggiore impegno per le tematiche inerenti alla salute. Il movimento chiede questo. Aderire e non agire di conseguenza porta al rischio di credere che si voglia utilizzare il tema, per di più a ridosso della campagna elettorale per le Europee, solo per un proprio tornaconto personale e politico. E di gente che ha utilizzato l’omosessualità (propria e degli altri) per far carriera ne abbiamo fin troppa. Converrete.

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