Incombe una “bomba ecologica” nell’alto Adriatico, ma per ora il governo italiano tace e l’Europa procede cauta. Entro il 2019 potrebbero sorgere diciannove nuove piattaforme offshore per l’estrazione degli idrocarburi, con tutte le conseguenze del caso sia per l’integrità degli ecosistemi marini sia, di conseguenza, per la tenuta del sistema turistico. Già le ispezioni ‘propedeutiche’ portate avanti l’autunno scorso dall’ultima società incaricata, la norvegese Spectrum, avrebbero sortito i loro effetti collaterali, contribuendo alla moria di tartarughe e delfini registrata negli ultimi mesi nell’area. Sollecitando una mobilitazione ad hoc da parte di sindaci e associazioni, l’allarme l’ha lanciato in spiaggia a Rimini l’europarlamentare del Pd Andrea Zanoni, autore di tre interrogazioni a Strasburgo sulla questione. Interrogazioni alle quali il commissario Ue per l’Ambiente, Janez Potočnik, ha risposto lo scorso gennaio facendo presente, in sostanza, di essere al corrente della questione e in contatto con le autorità croate per ottenere “chiarimenti”.

Non è un mistero che le trivelle non siano gradite in riviera. Quando tre anni fa l’allora ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, fece sapere che l’Italia avrebbe ripreso il programma di trivellazioni in Adriatico alla ricerca di petrolio, ci fu una mezza rivolta delle Regioni, delle Province e dei Comuni italiani con vista mare. La stessa Provincia di Rimini inviò al ministro una lettera ufficiale in cui si chiedeva di soprassedere dal proposito, “nefasto sia dal punto di vista economico, che estetico, che, soprattutto, di lungimiranza: nel momento in cui più consistenti si fanno gli investimenti da parte dei Paesi concorrenti sulle energie rinnovabili, Clini procedeva con la testa voltata all’indietro”, ricorda oggi l’assessore all’Ambiente della Provincia riminese, Stefania Sabba.

Ebbene, il problema resta. Dall’anno scorso la Spectrum sta setacciando i fondali dell’Adriatico lungo le coste croate, in un’area complessivamente di 12mila chilometri quadrati, alla ricerca di greggio e metano intrappolati nelle rocce. L’attività è a carico di Spectrum e non ci sono state gare pubbliche. Le ispezioni prevederebbero ogni 10 secondi l’emissione di un muro di onde sonore fino a 260 decibel, il doppio rispetto a quello di un jet in fase di decollo. Queste onde, insieme con le sostanze chimiche usate per oliare e raffreddare le trivelle, avrebbero un ruolo nella ‘strage’ di tartarughe Caretta Caretta e di delfini nell’Adriatico. “Non si sa bene da chi sia stata commissionata Spectrum, si dice che Eni ed altre compagnie conoscano bene la vicenda. Di certo, la moria è dovuta a cause antropiche”, segnala il presidente della Fondazione Cetacea di Riccione, Sauro Pari, in conferenza stampa al fianco di Zanoni.

Sei delle 12 tartarughe morte analizzate dagli istituti specializzati dell‘Università di Padova, fa notare Pari, hanno presentato anomalie come la presenza di cloro e antibiotici nell’intestino. Così come alcuni dei 14 delfini trovati spiaggiati, tra il 6 e 9 ottobre scorsi, sono stati recuperati con l’apparato uditivo a dir poco danneggiato. Non ci sono prove scientifiche a supporto, ma gli ambientalisti e Zanoni nutrono più di un sospetto. Per non dire di quelli sulla carenza di pesce: “Fino a qualche anno fa si pescavano tonni da 300 chili, ora se ne si trova da 100 si festeggia”, aggiunge l’europarlamentare Pd.

Intanto, c’è una risoluzione presentata in commissione Ambiente alla Camera, e sottoscritta fra gli altri dal deputato del Pd riminese Tiziano Arlotti, che impegna il governo a intervenire. Viene chiesto di vietare le trivellazioni in mare entro le 12 miglia dalla costa, rivedere il sistema delle autorizzazioni delle attività di ricerca di idrocarburi garantendo una maggiore tutela dell’ambiente, individuare una regolamentazione internazionale delle attività estrattive e di esplorazione degli idrocarburi attraverso un’apposita conferenza dei Paesi rivieraschi. “L’iter della risoluzione– spiega Arlotti- è alle battute finali dopo una serie di audizioni con i vari soggetti interessati, tra cui Anci e amministrazioni locali, per approfondire l’argomento e arrivare ad un testo condiviso da tutti i gruppi parlamentari da approvare entro questo mese”. Ma “anche la normativa europea va rivista e occorre studiare dettagliatamente gli effetti delle attività estrattive sul nostro ecosistema marino, che va tutelato. L’Adriatico non è il mare del Nord”, rimarca il deputato riminese.

La legge 134 del 2012 ha modificato la normativa e il regime di autorizzazioni dell’attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare: si fissa un’unica e più rigida fascia per l’estrazione dell’olio e del gas, pari ad un’estensione di 12 miglia dalle linee di costa e dal perimetro esterno delle aree marine e costiere protette, per qualunque nuova attività. La norma fa però salve, in modo retroattivo, le autorizzazioni già in corso prima del 26 agosto 2010. Ed esclude dalla valutazione di impatto ambientale le attività finalizzate a migliorare le prestazioni degli impianti di coltivazione di idrocarburi, compresa la perforazione, “se effettuate a partire da opere esistenti e nell’ambito dei limiti di produzione ed emissione dei programmi di lavoro già approvati”.

Anche la Provincia di Rimini chiede una moratoria per iniziativa dell’assessore all’Ambiente, Stefania Sabba, la quale ricorda che già “nel marzo 2013 il Consiglio provinciale di Rimini approvò il piano clima 2020 in cui, già nella premessa, si scriveva chiaramente come fosse doveroso spingere la ricerca verso le rinnovabili”. Ora, secondo Sabba, nell’Europa unita e dai confini aperti non esiste che ciò che viene messo fuori dalla porta in un Paese rientri dalla finestra nel Paese confinante: “Per questo come istituzione locale spingiamo anche noi affinché il governo prenda in mano questo problema”.

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