La prima condanna a morte della giornata è andata male. La seconda è stata rinviata. Succede in Oklahoma, il terzo Stato Usa con la percentuale più alta di pene capitali comminate ai condannati. Clayton D. Lockett, un afro-americano di 38 anni in carcere per aver ucciso una ragazza seppellendola viva nel 1999, ha ricevuto l’iniezione letale nella prigione di McAlester. Qualcosa non è andato secondo le procedure e l’uomo ha cominciato ad agitarsi, pronunciando anche alcune parole. Il medico presente nella camera della morte ha sospeso l’esecuzione di Lockett, che è comunque morto per un infarto poco dopo, e ha rimandato l’uccisione di un altro condannato, che doveva svolgersi nella stessa serata. I testimoni presenti, tra cui l’avvocato di Lockett, parlano di una “scena raccapricciante, difficile da sopportare.

A Lockett è stato iniettato un anestetico, il midazolam, alle 6.23; quindi il medico ha dichiarato il condannato “privo di sensi”. Quando è però iniziata la somministrazione del primo dei due farmaci letali (una sostanza paralizzante, il bromuro di rocuronio, mentre il secondo, il cloruro di potassio, è un medicinale per bloccare il battito cardiaco), il corpo di Lockett ha cominciato a contrarsi vistosamente. Piedi e gambe si sono mosse e sembra che l’uomo abbia inutilmente tentato di sollevarsi, sospirando in modo profondo e pronunciando due parole: “Oh, man”.

Quanto avvenuto nella camera della morte di McAlester non è comunque del tutto chiaro, perché alle prime difficoltà i funzionari della prigione hanno tirato la tenda del vetro che separa il luogo dell’esecuzione da quello dove sono raccolti i testimoni. Una “piena revisione delle procedure per determinare quanto successo” è stata chiesta dalla governatrice dell’Oklahoma, Mary Fallin, mentre il direttore dell’apparato carcerario dello Stato, Robert Patton, dice che il problema non ha riguardato le sostanze utilizzate per l’esecuzione, quanto piuttosto il modo in cui sono state somministrate. Secondo i funzionari della prigione, la causa dei problemi sarebbe la rottura della vena di Lockett in cui stava iniettando il mix di farmaci. L’uomo, dopo quello che alcuni testimoni descrivono come “un urlo atroce”, non si è più risvegliato dal coma ed è morto poco dopo le sette di sera per un infarto.

Visto quanto successo, le autorità dello Stato hanno deciso di rinviare di 14 giorni l’esecuzione di Charles F. Warner, 46 anni, anche lui afro-americano, condannato per lo stupro e l’uccisione di una bambina di 11 mesi nel 1997. I due uomini, Lockett e Warner, avevano trascorso la giornata in celle adiacenti. “È stato come assistere a una scena di tortura”, ha spiegato un altro avvocato di Lockett. La scena tragica e brutale del penitenziario di McAlester è destinata comunque a rinfocolare polemiche e battaglie pro e contro la condanna capitale negli USA. Già nelle settimane scorse proprio l’Oklahoma è stato al centro di una battaglia legale che ha coinvolto la Corte Suprema dello Stato, i tribunali, l’ufficio del Governatore e molti politici. Diversi singoli e gruppi per i diritti umani hanno infatti chiesto che le autorità del penitenziario bloccassero le esecuzioni e dessero maggiori informazioni sulle sostanze utilizzate: dove sono state acquistate, chi le produce, qual è la data di scadenza. La richiesta è stata appoggiata da alcuni giudici, con la Corte Suprema che ha chiesto una sospensione e il governatore Fallin che per motivi di opportunità politica (il suo Stato è una delle roccaforti repubblicane) ha preferito andare avanti con le condanne previste.

Sullo sfondo dell’orrore di McAlester – il penitenziario che appare nelle pagini iniziali di Furore di John Steinbeck – si colloca ovviamente il dibattito sui medicinali utilizzati nelle carceri per uccidere i condannati. Molte aziende farmaceutiche, soprattutto europee, rifiutano di fornire agli USA il mix di farmaci, temendo soprattutto campagne di boicottaggio dei propri prodotti. Questo ha costretto gli Stati americani che ancora praticano la pena di morte a rivolgersi a sostanze nuove, spesso non testate e prodotte nei laboratori delle carceri, che gli avversari della pena di morte ritengono capaci di infliggere “una sofferenza crudele e inusuale”, ciò che è proibito dalla Costituzione. Proprio per non dover rispondere a domande imbarazzanti, molti Stati hanno fatto scendere il top secret sulle sostanze. Il Texas rifiuta di dire dove se le procura. La Georgia ha votato una legge che definisce “segreto di Stato” il mix di farmaci. Stessa segretezza in Missouri e Lousiana. Il velo posto sulle procedure di morte potrebbe però, alla lunga, rivelarsi controproducente e anticostituzionale. Sinora la Corte Suprema degli Stati Uniti ha rifiutato di prendere in esame il problema, ma tre giudici, quelli più decisamente liberal, hanno espresso interesse per la questione e potrebbero, nei prossimi mesi, mettere in discussione i segreti delle camere della morte USA.

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