Essere trans in Turchia è molto pericoloso. “Subiamo costantemente attacchi dalla polizia e dalle gang giovanili. Siamo esposti alla violenza e alla discriminazione. Otto anni fa ci siamo fermati a pensare: ‘o combattiamo, o moriremo tutti’. Così, eccoci”. Comincia da qui il racconto di Ganimet, 45 anni, membro del comitato esecutivo di Pembe Hayat, prima e unica associazione – nata ad Ankara il 30 giugno del 2006 – che si batte per i diritti della comunità Lgbtqi turca.

Tre i principali obiettivi dell’associazione: protezione e assistenza delle persone transessuali attraverso supporto legale, medico-sanitario e psicologico; costante sensibilizzazione delle lobby e dell’opinione pubblica sulle questioni di genere e i diritti delle persone trans; il progresso in campo legislativo con l’introduzione del riferimento all’orientamento sessuale nell’articolo 10 della Costituzione.

La sede di Pembe Ayat si trova nel centro di Ankara, protetta da telecamere e raggiungibile attraverso un portoncino blindato. All’accoglienza c’è proprio Ganimet. Lineamenti marcati, occhi castani sottolineati da un leggero velo di mascara, la voce roca a causa del fumo e un sorriso luminoso. Ha 45 anni e ha capito di essere una donna quando ne aveva 7 anni. Per vivere fa la sex worker, perché “anche se ho una laurea, e in teoria sarei un’insegnante, in Turchia non ci sono altre possibilità per i trans. Esiste solo la via della prostituzione. I nostri diritti vengono violati sistematicamente. C’è un sentimento diffuso di omofobia e transfobia, parte di quei tre aspetti fondamentali sui quali si regge il nostro Paese: islamismo, razzismo e feudalesimo”.

L’aspetto più delicato dell’essere omosessuale o trans riguarda il rapporto con la famiglia. Difficilmente i genitori riescono ad accettare le decisioni dei figli, e troppo spesso ricorrono ai medici per cercare di trovare una soluzione al problema. “Mio padre è morto di recente e per mia madre, la causa della sua morte sono io – racconta ancora Ganimet – Non mi hanno mai accettato. Ho capito che ero una donna quando ero molto piccola, e ho sofferto tantissimo per gli attacchi e i commenti dei miei compagni di scuola. Non vedevo crescere il seno, come succedeva alle mie compagne, e soffrivo. Poi ho capito che non avevo bisogno del seno per essere una donna, lo ero già. Questo è uno dei motivi per cui ho deciso di non fare l’operazione per cambiare sesso”. Il rifiuto delle famiglie troppo spesso si traduce in atti di violenza estrema. Li chiamano “delitti d’onore” e dall’inizio dell’anno ad oggi hanno portato alla morte di cinque di noi. “Negli ultimi anni, grazie alla stampa alternativa si è parlato molto di più di questi delitti, ma è difficile sradicare una certa mentalità che esiste da sempre.

I media  mainstream hanno un ruolo fondamentale nella diffusione del sentimento di omofobia. “Parlano di noi solo quando c’è di mezzo la violenza – spiega Ganimet – Le questioni di genere, e di conseguenza i diritti delle comunità Lgbtqi trovano spazio solo nella stampa alternativa e anti-governativa”. Tra le liste elettorali dei vari partiti politici, in corsa per le prossime elezioni amministrative, spiccano i nomi di numerosi candidati omosessuali. “In questo paese nessun governo, nessun partito, riuscirà a coinvolgere e includere realmente le persone omosessuali. Quella di inserire qualche nome “spot” nelle liste è solo una scelta politica, per raccogliere più voti, puntando sulla sensibilità di alcuni elettori. Il nostro è un governo islamista e razzista, e non farà mai niente a favore della comunità Lgbtqi”.

Sicuramente la Turchia, rispetto ad altri paesi musulmani, ha un approccio diverso verso la comunità omosessuale. “E’ vero – commenta Ganimet – qui non ci lapidano come in Arabia Saudita, o non ci impiccano come in Iran, ma la situazione è lo stesso molto complicata. Noi della comunità LGBT siamo segnati, indossiamo un bersaglio e abbiamo molta paura di questo governo. Non mi stupirei se un giorno decidessero di ucciderci tutti”.

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