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Quote rosa: candidiamo donne nei Cda delle partecipate

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Sono trascorsi quasi due anni dall’approvazione della legge Golfo-Mosca che prevede che negli organi di amministrazione e di controllo di società quotate in borsa e di società a controllo pubblico gli amministratori e le amministratrici del genere meno rappresentato – e si tratta sempre di quello femminile – siano presenti con una percentuale del 20% al primo rinnovo dopo l’approvazione della legge e del 30% ai rinnovi successivi.

I primi dati a disposizione, contenuti in un libro-ricerca di prossima pubblicazione in Gran Bretagna, sono più che incoraggianti. Non solo per la qualità delle candidature e di conseguenza dei Consigli di amministrazione ma anche perché, contrariamente a quanto si era affermato e ai timori sollevati da chi non vuole alcuna legge che preveda la parità, le donne elette nei CdA non hanno accumulato incarichi, infatti il 90% siede in un solo Consiglio di amministrazione e il 70%, contro il 23% del 2005, è “indipendente” ossia non legato alla proprietà dell’azienda.

Sono dati che smentiscono quanti asserivano e ancora asseriscono che con l’introduzione delle “quote” si valorizzerebbe non il merito ma le parentele, l’essere membro della famiglia proprietaria.

Questi numeri devono servirci da stimolo nel proseguire su questo terreno in vista dei prossimi rinnovi dei Consigli di amministrazione di società come Enel, Eni, Terna, Finmeccanica e di altre decine di partecipate dal Ministero dell’Economia, compresi i collegi sindacali.

Proseguire nel senso di andare oltre le percentuali minime previste dalla legge, che sono appunto la soglia minima sotto cui non si può andare, non la massima da non superare, teniamolo presente.

Noi sollecitiamo il Governo ad andare in questa direzione, che significa tra l’altro mantenere quanto promesso dal Presidente del Consiglio in occasione del voto di fiducia.

Vorremmo però suggerire di adottare una modalità trasparente per questa azione sollecitando pubblicamente la presentazione di curricula, nella forma sia di autocandidature sia di candidature proposte da terzi, previo consenso delle interessate. E’ un modo per praticare il metodo della trasparenza, per allargare il bacino dal quale pescare curricula di donne competenti, per uscire, o meglio non avviare il metodo dei soliti “giri” che valgono spesso per le candidature maschili: conviene alle aziende, conviene a cittadini e cittadine, conviene al Paese.

 

 

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