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I diritti sessuali sono veramente per tutti?

I diritti sessuali sono veramente per tutti?
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Periodicamente la nostra attenzione viene portata su varie tematiche che riguardano le persone con disabilità, o come si preferisce dire più recentemente diversamente abili: l’assistenza, la salute, il lavoro. Molto poco si parla e si affronta sia a livello personale che politico/sociale la sfera della loro sessualità e affettività, avvolta nel mistero e nell’indifferenza generale tanto da far quasi pensare ad una forma di asessualità ed anaffettività generalizzata.

E’ ovvio che quando parliamo di disabilità facciamo riferimento a un ampio spettro di situazioni che possono andare dalla disabilità fisica di vari gradi a forme di disabilità cognitiva che coinvolgono o meno anche funzioni fisiche. In questo senso è quindi importante sottolineare che i vari discorsi che si possono fare su questo argomento devono necessariamente tenere in considerazione i diversi livelli di consapevolezza della persona con abilità diverse e quindi fare i conti con esigenze e potenzialità molto variegate. I motivi per cui, specialmente in Italia, questo aspetto è così trascurato sono da ricollegare alla nostra tradizione culturale che vede la sessualità come un tema troppo scottante da trattare, o comunque qualcosa da gestire nel privato, i genitori con i propri figli, ma più spesso quando insorgono problemi, le coppie nelle loro stanze. Risultato, nessuno lo affronta in maniera appropriata e tutto rimane nella esperienza personale.

Pensiamo tutto questo riferito alle persone con abilità diverse: che tipo di occasioni si prospettano per loro? I genitori si dividono: ci sono quelli che nel tentativo di andare incontro alle esigenze sessuali, in genere del figlio maschio, contattano qualche professionista del mestiere, ci sono quelli che invece negano questa esigenza o comunque non avendo risorse per affrontarla, rinunciano. Le donne diversamente abili, è opinione comune, non hanno i cosiddetti “impulsi sessuali” e men che mai esigenze affettive e quindi rimangono escluse da ogni, seppur minimo, tipo di tentativo.

Sappiamo che non è facile fare fronte a tutto questo e ci vuole una volontà congiunta che permetta di prendere in considerazione i diversi livelli coinvolti, ma possiamo intanto pensare a dei progetti sui vari aspetti della sessualità/affettività diretti ai genitori, agli assistenti, ai medici e alle persone coinvolte per rendere più accessibili queste tematiche. Potremmo iniziare a riflettere sulla esperienza di altri paesi dove l’assistente sessuale è una professione di aiuto a tutti gli effetti, che rende più accessibile il rapporto con la sessualità. Siamo consapevoli che in questo rimane tagliato fuori l’aspetto affettivo e in tal caso dovremmo pensare a una rivoluzione culturale più ampia che permetta di cogliere l’essenza della persona al di là della sua abilità.

La rivista scientifica americana Sexuality and disability, che da anni si occupa della ricerca in ambito sessuologico per favorire il riconoscimento del diritto sessuale alle persone con abilità diverse, sta iniziando a pubblicare i risultati relativi al lavoro degli assistenti sessuali (sex workers), con i loro assistiti. I dati pubblicati si riferiscono alla Svezia, paese dove questo tipo di figura professionale è riconosciuta e largamente diffusa, e riportano un alto gradimento nelle persone con abilità diverse, che in tal modo si sentono maggiormente riconosciute come individui. Maximiliano Ulivieri, anche lui blogger del Fatto, se ne sta occupando da tempo con successo

Continuiamo a parlarne.

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