Un pubblico ministero è votato alla ricerca della verità. Rappresenta lo Stato, non qualcuna delle parti in causa nel processo. Non è un avvocato al soldo di qualcuno. Sembra incredibile doverlo ricordare.

Ad Agostino Abate, pm nel procedimento per la morte di Giuseppe Uva, della verità non sembrava importare molto. Giuseppe Uva, morto a Varese nel giugno del 2008 dopo essere stato portato in una caserma del carabinieri assieme all’amico Alberto Biggiogero che dalla stanza accanto lo sentiva gridare e lamentarsi, l’unica giustizia che aveva ottenuto era quella di un magistrato che non troppo aveva voluto indagare sulle colpe dei sei poliziotti e dei due carabinieri presenti quella sera nella caserma. Biggiogero, senza dubbi il principale testimone, era stato interrogato con incredibili anni di ritardo. L’interrogatorio era stato condotto come se fosse stato lui l’accusato, anteponendo all’ascolto la spavalderia e l’intimidazione. Lucia Uva, sorella di Giuseppe, per aver detto che il fratello era stato percosso dai carabinieri è stata indagata per diffamazione.

Oggi a dirlo è il giudice per le indagini preliminari di Varese, Giuseppe Battarino. Giuseppe Uva “è stato percosso da uno o più dei presenti in quella stanza, da ritenersi tutti concorrenti materiali e morali”. Vorranno indagare per diffamazione anche lui? Meno male che c’è un giudice a Berlino… Già l’ex ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri aveva avviato un’azione disciplinare nei confronti del pm Abate, così come aveva fatto la Procura generale presso la Cassazione. Oggi il dottor Battarino respinge la richiesta di archiviazione che Abate ha presentato in relazione alla morte di un uomo in custodia delle forze dell’ordine che urlava e chiedeva aiuto mentre all’amico veniva sequestrato il telefono con il quale – da solo – aveva chiamato il 118.

Lucia Uva, che in questi anni ha portato avanti una battaglia che dovrebbe essere di tutti i cittadini, è stata trattata come fosse lei la colpevole. E la stessa cosa è accaduta a Ilaria Cucchi e a Patrizia Moretti. Se la saranno cercata, è il pensiero che si sente volare in quelle aule di giustizia. Se sono finiti in caserma, o sono stati fermati dalla polizia lungo un marciapiede, e se sono stati massacrati, un motivo ci sarà pure. Come per quelle donne che vengono violentate perché non stavano chiuse in casa invece di farsi vedere in giro.

Meno di un mese fa a Bari un altro giudice per le indagini preliminari, Giovanni Anglana, ha respinto un’altra richiesta di archiviazione per un’altra morte in carcere. Carlo Saturno, 23 anni al momento del presunto suicidio nel marzo 2011, era stato pestato da ragazzino nel carcere minorile di Lecce. Come quasi mai accade a chi è in detenzione e dunque in mano altrui, aveva denunciato i fatti. Si attendeva la sua deposizione quando è stato trovato impiccato, dopo una lite con alcuni poliziotti, ormai nel carcere per adulti a Bari. Antigone ha chiesto tante volte al Ministero se gli agenti coinvolti nel processo fossero stati adeguatamente allontanati da lui, ma non ha mai avuto risposta.

La scorsa settimana il Senato ha finalmente votato il testo di legge che introduce il reato di tortura nell’ordinamento italiano, in questo tragicamente carente. Si sbrighi adesso la Camera. E, una volta approvata la legge, ci pensino i giudici a utilizzarla. Il dottor Anglana impone al pm indagini che non ha effettuato su Carlo Saturno. Il dottor Battarino fa lo stesso per Giuseppe Uva. C’è più di un giudice a Berlino.

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