È stata senz’altro una delle leggi più contestate e fatte a pezzi degli ultimi anni: la legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita (pma), che il 19 febbraio compie 10 anni dalla sua approvazione in Parlamento, è sopravvissuta a un referendum, ma ha perso per strada parte dei suoi divieti, che avrebbero dovuto servire, nelle intenzioni dei parlamentari, a regolamentare il ‘far west’ che campeggiava nel settore in Italia.

Una legge tra le più restrittive d’Europa e che non tiene conto in alcun modo delle regole della scienza e delle esigenze dei malati, come hanno sempre sottolineato gli specialisti che si occupano di fecondazione in provetta. Norme che, dopo ben 28 interventi da parte della magistratura, a partire dai tribunali fino alla Corte Costituzionale e la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), hanno via via visto ridimensionare la propria portata.

Nel 2005 il referendum abrogativo, nato sotto la spinta dei Radicali nel 2004, non raggiunse il quorum necessario (andò a votare solo il 25 per cento degli italiani), anche per via della forte battaglia ingaggiata dalla Conferenza episcopale italiana. Nelle aule giudiziarie il primo a pronunciarsi fu il tribunale di Catania già nel maggio 2004, negando il diritto alla diagnosi preimpianto ad una coppia portatrice di betatalassemia, ma la prima vera opera ‘demolitiva’ si è avuta con la sentenza del 2009 della Consulta, che ha rimosso l’obbligo di contemporaneo impianto di tutti gli embrioni prodotti. Ad oggi dalla legge è stato cancellato anche il divieto di produzione di più di tre embrioni, ed è stata confermata la deroga alla crioconservazione degli embrioni per la tutela della salute della donna e del concepito.

Nel frattempo, ma soprattutto tra il 2004 e il 2009, sono state moltissime le coppie che hanno scelto di rivolgersi a centri di fecondazione assistita esteri per avere quei trattamenti che in patria gli erano negati. Secondo un’idagine dell’Osservatorio sul Turismo Procreativo, nel 2012 erano ancora 4mila le coppie che sono andate all’estero per trattamenti di fecondazione assistita, metà delle quali per l’eterologa. “C’è da dire che dopo la sentenza della Corte Costituzionale del 2009 – spiega Andrea Borini, presidente Sifes – la situazione è molto migliorata, mentre prima c’era un problema per la salute di mamme e bambini, perche’ l’11 per cento delle gravidanze era trigemellare”

Gli ultimi due muri da abbattere sono il divieto di fecondazione eterologa (fatta cioè con ovuli o spermatozoi provenienti da donatori esterni alla coppia) e la possibilità di usare gli embrioni non idonei per la ricerca scientifica. Questioni su cui dovrà pronunciarsi proprio al Corte Costituzionale il prossimo 8 aprile. L’associazione Luca Coscioni, che con i suoi legali ha assistito molte delle coppie che hanno fatto ricorso contro la legge 40, è inoltre in attesa di un’altra udienza per l’accesso alla fecondazione assistita per le coppie fertili portatrici di patologie genetiche. Presso la Cedu pende un analogo ricorso per gli embrioni alla ricerca. Attualmente infatti sono quasi 19mila gli embrioni conservati ma inutilizzabili, perché la legge impedisce di distruggerli e donarli alla scienza.

Certo qualche lato positivo l’ha avuto la legge, come l’istituzione del Registro Nazionale di Pma, “che – come rileva Filippo Ubaldi, direttore dei centri di medicina della riproduzione Genera – ha permesso in questi anni di raccogliere importantissimi dati sull’andamento e sui risultati della pma in Italia, e aver reso l’Italia leader nel mondo per lo sviluppo e il perfezionamento del congelamento degli ovoci, per via del divieto di congelare embrioni”. Rimane un’ultima domanda a cui rispondere e che si pongono oggi alcuni dei più importanti centri privati italiani di fecondazione assistita, che hanno appositamente comprato una pagina intera sul Corriere della sera: “Quante coppie in questi 10 anni hanno dovuto rinunciare alla possibilità di avere un figlio per colpa della legge 40?”. Una domanda a cui probabilmente non avremo mai risposta.

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