E così abbiamo assistito all’ennesima puntata della farsa imbastita da Grillo. Per chi avesse avuto ancora dei dubbi, dicasi democrazia un monologo concitato e confuso del capo, una verità rivelata che non ammette repliche.

È stata una scena penosa a cui avremmo volentieri fatto a meno di assistere e, penso, di partecipare. Un uomo giovane che prova a ragionare e a dialogare, interrotto continuamente da un vecchio signore arrabbiato e sprezzante. Mi interrogo allora su cosa serva lo streaming? Mi viene spontaneo un paragone con la Direzione Pd di qualche giorno fa. Le nuove tecnologie di comunicazione dovrebbero essere utilizzate per portare il cittadino nelle stanze della politica, ma così non è nella concezione del Movimento 5 Stelle. Non è un caso che le telecamere vengano accese e spente a piacimento. Ciò che avrebbe dovuto fare il Movimento, lo ha fatto invece il Pd. La nostra diretta è stata vera, ha illustrato un momento di fragilità del partito, una delle scelte più difficili e critiche degli ultimi anni. Una documentazione senza filtri e senza trucchi che ha portato alla luce quello che da sempre avviene negli organi interni dei partiti, ovvero la normale dialettica sul sostegno o meno ad un governo.

Cosa abbiamo visto invece nello streaming tra Grillo e Renzi? Uno spettacolino del comico genovese che riprendeva un repertorio vecchio e stantio. Un premier giovane e coraggioso che ha provato a dialogare, ben sapendo di rischiare una trappola da parte del più esperto leader dei 5 stelle. Renzi, come ognuno di noi, è criticabile sotto vari aspetti, ma certo non gli è mancato il coraggio. Ad aver paura è stato Grillo, paura di finire in un dialogo che l’avrebbe visto perdente. Paura di un confronto, paura di trovarsi d’accordo con il Pd, paura di lasciar parlare i deputati senza poter esercitare una censura preventiva. Grillo, alla fine, perde l’ennesima possibilità politica, ma sembra aver dimenticato anche i tempi scenici, facendosi rubare l’ultima battuta da Renzi che, preso atto della non disponibilità al dialogo dell’interlocutore, lo congeda.

Dopo giorni di morale al Pd, sul tradimento degli elettori e dei principi democratici, Grillo tradisce i suoi attivisti, che gli avevano chiesto di andare al confronto, trasformandolo in un trailer del suo spettacolo. Semplicemente non è capace di dialogare, come ha dimostrato anche nella seguente conferenza stampa, in cui non risponde neppure ad una domanda, usandole come pretesto per ripetere il detto e ridetto. Non si distingue più il Grillo abile comunicatore, da quello giunto ad una logorrea e ripetitività quasi patologiche. Nelle parole di Andrea Scanzi: “Beppe Grillo non è capace, fisicamente e mentalmente, di star lì sul pezzo e rispondere a domanda e risposta. Più esattamente, non ne ha voglia. È logorroico, incasinato nell’esposizione. Finisce sempre che l’intervista, depurata dalle molte divagazioni, non è che il copia e incolla del testo dello spettacolo che in quel momento sta portando in giro” (Andrea Scanzi, Ve lo do io Beppe Grillo, Mondadori, 2008).

La giusta conclusione è nella scena finale della conferenza stampa. Luigi Di Maio, a fianco del boss, si trasforma lentamente in un novello Gianfranco Fini che ascolta impallidendo Berlusconi dare del kapo a Martin Schulz. C’è da sperare, che dentro il Movimento 5 Stelle nasca una dirigenza che, se non disposta ad allearsi, sia almeno abbastanza sicura di sé da confrontarsi.

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