Per l’addio a Freak Antoni ci sono persino i “karabignieri”. L’ultimo saluto al leader degli Skiantos scomparso due giorni fa a Bologna all’età di 59 anni si svolge in rispettoso silenzio nella sala Tassinari di Palazzo d’Accursio, presidiata come ogni giorno anche da un paio di camionette della benemerita. E sono davvero tante le persone che passano durante la mattina per lasciare un fiore, una busta, un pacchetto di lamette (“per le sbarbine” c’è scritto a biro), bottiglie di chinotto, o come gli amici più cari un sombrero e un pallone da basket. La bara di legno chiaro al centro della sala, sul muro vengono proiettate le foto di Freak, Dandy e gli altri Skiantos durante i concerti di 40 anni di carriera. Ad un volume gradevole e mai invasivo una miscela in loop dei successi del gruppo: Largo all’avanguardia”, “Sono un ribelle, mamma”, “kakkole”, ecc… e tra creste punk, chiodi ancora lucidi, tanti occhiali da sole per coprire le lacrime. Gli amici musicisti pensano già a un live per ricordare il poeta rock di Bologna e c’è già una data: 16 aprile. 

Tra i primi ad arrivare Elio e Rocco Tanica con un mazzo di tulipani gialli e rossi; poi Samuele Bersani, Luca Carboni, Claudio Lolli, Ricky Gianco, Fabio De Luigi, Vito, il Trioreno, Paolo Hendel, Franz Campi; i manager dell’entourage di Lucio Dalla, Bruno Sconocchia e Tobia Righi; il produttore Oderso Rubini e i leader del ’77 Bifo e Valerio Monteventi; i giocatori della Fortitudo come Nino Pellacani, il presidente Anconetani che lascia davanti al feretro un pallone da basket. E per almeno un paio d’ore vicino ad Alessandra Mostacci, l’ultima compagna di Freak, c’è la figlia Margherita con i compagni di scuola. Si batte il tempo del rock demenziale, del punk che ha rivoluzionato la musica italiana, e poi si passa dall’uscita dove si regala il santino di Santa Ironia, “l’indulgenza plenaria”, c’è scritto sopra, “da ripetersi tre volte dopo cena”.

Nella sala Tassinari c’è una Bologna che forse non ce l’ha fatta, ma una Bologna che ha ancora cuore, che ricorda il valore dell’amicizia. Ognuno ha un aneddoto su Freak, un verso, una poesia, una chiosa di classe. “Siamo il suo ‘pubblico di merda’ ”, è l’attacco del discorso del sindaco Merola che tra gli ultimi legge un discorso per l’amico Roberto, “non si è mai arricchito con la sua arte, 38 anni di insuccessi generando però una grande ricchezza, perché ora noi siamo ricchi, ricchi di un’ironia seria, mai ridotta ad una facile battuta. Questa volta non è un pezzo di Bologna che se ne va, ma che resta vivo. Freak è sempre stato uno del popolo, un bolognese autentico”.

“Viveva sul palco era il suo lavoro, e io per questo tante volte un po’ l’ho odiato”, legge poche righe scritte di suo pugno Margherita, la figlia quindicenne di Antoni, “ma ora ho capito: come tanti, a mio padre capitava spesso di essere triste, e ognuno colma il vuoto a modo suo, lui lo faceva con droga, concerti, amori improbabili. Era un infelice e un irrequieto, ma era un grande perché gridava di non accontentarsi e urlava la sua felicità. Se Dio ci deve delle spiegazioni, speriamo che adesso gliele dia”.

“Schivo ma geniale”, testimonia Samuele Bersani, “l’ultima volta che l’ho visto era poco prima di natale in un supermercato e non stava per niente bene. E’ una perdita in termini umani infinita. E poi dopo Lucio siamo diventati la città degli addii, che tristezza”. “E’ sempre stato coerente e coraggioso”, ricorda Ricky Gianco che con Gianfranco Manfredi conobbe Freak Antoni nei primi anni settanta, “l’avevo visto l’anno scorso e nonostante tutto continuava a combattere. Quando lo conobbi stava già scrivendo e cantando cose rivoluzionarie”.

Ora però si parla già di un concerto tributo che potrebbe diventare realtà il prossimo 16 aprile, giorno in cui Roberto Freak Antoni avrebbe compiuto 60 anni. L’idea l’ha lanciata Dandy Bestia, alias Fabio Testoni, e lì a fianco si sono già messi in moto il sindaco con il clan della musica bolognese che ancora conta e parecchio. In Piazza Maggiore, dove si terrà il live, si ferma un attimo Elio, dopo che di primissima mattina è rimasto accanto alla bara dentro alla sala almeno mezz’ora: “Non dico niente. Questa perdita va analizzata con calma, altrimenti se dico una cosa oggi tra quattro giorni non ne parla più nessuno”.

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