Molti dei commenti ai miei precedenti post rispolverano il tipico mantra usato da chi si ritrova a corto di argomenti di fronte alla devastante e innegabile rapina fiscale italiana: il feticcio dell’evasione. I più sobri utilizzatori di tale scappatoia retorica si limitano a ripetere il ritornello secondo cui “in Italia le tasse sono altissime perché l’evasione è altissima: se pagassero tutti pagheremmo di meno”, i più avventurosi invece si lanciano in accuse dirette nei confronti dell’interlocutore: “Vuoi meno tasse? Evasore!!!”

Tralascio queste ultime affermazioni, per quanto sarebbe abbastanza facile ricordare che un evasore che protesta per le tasse alte è tanto probabile quanto un vegetariano che protesta per l’eccessivo costo delle bistecche. Evito anche di discutere qui della legittimità del rifiuto di pagare le tasse (discussione che si infrange spesso contro slogan come: “la legge dello Stato va rispettata sempre e comunque”, ripetuti da chi dimentica che questo principio astratto genera mostri quando le leggi dello Stato in questione sono mostruose, come quelle razziali del ventennio, quelle sul figlio unico in Cina o sulla lapidazione delle adultere in Iran; e dimentica che in Italia in molti casi sono le tasse stesse ad essere illegali, tanto da poter considerare uno sciopero fiscale come un atto di coerenza con il principio di legalità), limitandomi a citare Luigi Einaudi: “La frode fiscale non potrà essere davvero considerata alla stregua degli altri reati finché le leggi tributarie rimarranno vessatorie e pesantissime e finché le sottili arti della frode rimarranno l’unica arma di difesa del contribuente contro le esorbitanze del fisco”. Assumiamo per assurdo che pagare le imposte che i politici stabiliscono sia sempre e comunque un obbligo indiscutibile (anche a costo della distruzione di imprese, famiglie e intere economie) e chiediamoci se è vero quello che si dice sugli effetti e sulle cause del fenomeno dell’evasione, sfatando qualche mito.

Primo mito: “L’Italia ha una pressione fiscale tra le più alte al mondo, ma anche un’evasione fiscale tra le più alte al mondo”. La prima parte della frase è verissima (il total tax rate arriva quasi al 70%: triste record del mondo sviluppato), la seconda del tutto falsa. Va premesso che spesso le cifre ripetute da esattori e politicanti a beneficio di telecamera non provengono da revisori indipendenti, ma dagli esattori stessi (una fonte di sicuro non molto imparziale), sulla base di metodi nella migliore ipotesi soggetti ad enormi fluttuazioni, nella peggiore arbitrari e manipolabili. Da un po’ di confronti tra fonti si ottiene una percentuale media nazionale vicina al 17%, ben lontana dall’essere un record mondiale come la nostra tassazione: la media europea è del 14%, con paesi come Grecia e Polonia che superano il 20% (pur avendo total tax rate molto inferiori a quello record italiano, rispettivamente intorno al 45 e 40%).

Secondo mito: “L’evasione fiscale di cui sopra è cagionata tipicamente dal piccolo imprenditore brianzolo con il Suv”. Immagine macchiettistica e totalmente fuorviante: le piccole imprese della Lombardia (Regione in cui la percentuale di evasione si aggira intorno al 10%: non solo molto inferiore alla media europea, ma persino a quella tedesca o francese) contribuiscono al fenomeno per pochi miliardi di euro, mentre molta dell’evasione stimata proviene dal grosso business contiguo al potere statale (banche, concessionari del gioco, ecc.) e dal lavoro nero svolto nell’Italia del sud (con questa constatazione non intendo certo svilire il Meridione italiano, né tantomeno chi preferisce lavorare in nero per portare a casa il pane piuttosto che elemosinare soldi altrui da qualche politico in cambio di voti).

Terzo mito: “Se pagassero tutti pagheremmo di meno”. Falso. Logicamente, contabilmente e storicamente falso. Immaginiamo che da domani ogni persona, impresa e partita Iva inizi a pagare fino all’ultimo centesimo quanto richiesto dallo Stato italiano, dal canone Rai fino ai contributi sulle ripetizioni di matematica dello studente universitario. L’Italia sarebbe più ricca? Ovviamente no: molte imprese e molti esercizi commerciali semplicemente chiuderebbero, molte transazioni private (a partire dai lavori di baby-sitting e da molti affitti di studenti fuorisede) si rivelerebbero non più sostenibili e sparirebbero dal mercato, il Pil italiano scenderebbe di diversi punti percentuali in pochi mesi. Sul brevissimo termine, tuttavia, potrebbe anche esserci un aumento delle entrate statali.

Lo Stato italiano diventerebbe più assennato nelle scelte di spesa? Ovviamente no: non c’è motivo per cui un aumento di entrate debba convincere politicanti e burocrati ad eliminare sprechi, spese clientelari, episodi di corruzione… anzi, ci sarebbe un nuovo “tesoretto” da spartirsi e da spendere. Questa nuova spesa diventerebbe un’aspettativa storica da parte dei beneficiati, tanto facile da elargire la prima volta quanto difficilissima da negare in seguito, insomma: un “diritto acquisito”, per pagare il quale nel contesto di un’economia contratta e azzoppata dalla sparizione di tante transazioni l’unica possibilità sarebbe quella di alzare la pressione fiscale! Esattamente: se pagassero tutti, pagheremmo di più! Per corroborare l’esperimento mentale con i dati di fatto basta guardare le serie storiche: l’aumento di recupero dell’evasione fiscale è sempre stata accompagnata dalla trasformazione dei “tesoretti” in nuova spesa statale, a sua volta seguita da nuova tassazione. Nemmeno un centesimo del recuperato è stato mai utilizzato per la riduzione delle tasse, e ad ogni aumento delle entrate fiscali è sempre corrisposto un incremento delle spese e, di conseguenza, delle pretese tributarie.

Nella lettera al Corriere di cui sopra, Einaudi scriveva anche: “Non è male che il tentativo della Finanza di costringere tutti a pagare le altissime aliquote italiane incontri una vivace resistenza nei privati. Se questi si acquetassero, e pagassero senza fiatare, anche la Finanza si adagerebbe sulle alte quote, paga dei guadagnati allori. La frode persistente la costringe a riflettere se non le convenga di ridurre le aliquote per indurre i contribuenti a miglior consiglio o per scemare il premio della frode”.

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