Vivere in Inghilterra vuol dire, per un italiano del Sud, liberarsi da un fardello di simboli. Ad esempio, dalle parrocchie come unico luogo di aggregazione, da una certa primitiva ritualità, dal crocifisso onnipresente (nelle scuole, negli uffici, negli ospedali, etc.). Significa liberarsi, anche, di quel senso di colpa cattolico nelle relazioni interpersonali, nel sesso prima di tutto, ma anche nella scrittura, nelle arti, nella politica. Persino il senso di colpa può avere la sua importanza, nei rapporti umani, ma in Italia finisce quasi sempre sui genitali. Eppure la società inglese presenta un’altra, più moderna e non meno inquietante forma di devozione: il lavoro.

Accertato il fallimento del capitalismo come strumento per garantire all’Occidente un benessere crescente e diffuso, e soprattutto una progressiva liberazione dallo sfruttamento, il nostro sistema sociale ha dovuto cercare una nuova deità per far immolare i suoi sudditi. L’intero establishment – inglese, europeo, dei paesi in via di “sviluppo” – non sembra mai stanco di lodare l’effetto nobilitante del lavoro, l’arbeit macht frei del XXI secolo. Qualunque esistenza che cerchi un’altra ragione di vita, che non voglia farsi irreggimentare in quadretti agghiaccianti come i colletti bianchi che partecipano a rave mattutini prima di andare a ufficio, viene liquidata come parassitica. Non è un caso che l’ideologia della destra conservatrice non contrapponga più “liberismo” a “socialismo” né, come dieci anni fa, “libertà” a “fanatismo”, ma “taxpayers” contro gli “scroungers” – gli immigrati, i truffatori veri o presunti, i chavs, i proletari bianchi con troppi figli che diventano la scusa per privatizzare il sistema sanitario.

Una guerra ancora una volta di classe. È in questa cornice che il breve saggio di Federico Campagna, The Last Night: Atheism, Anti-work, Adventure (Zero Books, 2013), appare d’una urgenza e intuizione strepitose. Un libro che è innanzitutto una mappa per l’emancipazione, nella sua descrizione a tratti lirica, a tratti aspra dei modi e del linguaggio d’una cultura aberrante. Ciò che è più grave in questo frangente, scrive Campagna, è la “colonizzazione” del lavoro anche nei territori che non dovrebbero appartenergli, come il tempo libero. Il londinese medio sembra davvero condannato a questa macchina stritolante del produci-consuma-crepa, il working overtime come pratica mansuetamente accettata da tutti, l’alienazione degli immigrati nella megalopoli a misura di ricco, gli avanzi di vomito dei weekend alcolici a fare da contrappasso alle briciole del panino consumato nel proprio cubicolo.

Ma The Last Night, opera prima di uno scrittore cresciuto a Milano e che in pochi anni è riuscito ad affermarsi, con tenacissima determinazione, tra le firme più originali e utili d’Oltremanica, non si limita certo a invitare il lettore a chiedere le dimissioni e ad aprire un bar a Caracas. Pur paracadutando sulle nostre certezze armi inusuali e affascinanti, come lo “sperpero della speranza” (quando questa diventa una catena per ammansirci), e invocando la demolizione di quelle “astrazioni dominanti” che ci imprigionano (come il Progresso, la Società, il Futuro) questo libro non ci lascia al freddo di una chiesa dal tetto scoperchiato.

Il termine che Campagna sceglie da sostituire al troppo abusato “solidarietà” è “avventura”: avventura intellettuale, irrispettosa cavalcata nelle possibilità esistenziali dell’uomo, invito a creare alleanze temporanee tra persuasi che non vogliano abbrutirsi nel grigio e nell’orrido. Ispirandosi in modo originale e generoso all’anarco-individualismo di Stirner, il cui “egoismo” è stato per troppi decenni liquidato (e frainteso) con disprezzo in chiave anti-marxista, quello di Campagna è invito ad abbandonare la religione del lavoro che stritola le nostre vite. Quel che peggio: una religione che non rende possibile immaginare alcun’altra strada se non questa.

Di Paolo Mossetti, scrittore nato a Napoli nel 1983. Collabora con Vice, Domus, Rolling Stone Italia e Alfabeta 2.0. Vive tra Londra ed il Bronx. Il suo blog:www.kaosreport.com

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