La popolazione che vive nell’area di Civitavecchia, tra le più inquinate d’Italia, rischia di dover presto fare i conti con un nuovo inceneritore. Non uno qualsiasi, ma un ossidatore termico dove verranno bruciate nientemeno che le armi chimiche residuate della Seconda guerra mondiale contenenti iprite, fosgene, arsenico e adamsite. Ci manca solo il gas nervino degli arsenali siriani, e non è escluso che arrivi pure quello, visto che il Cetli Nbc (Centro tecnico logistico interforze, nucleare, batteriologico e chimico) del comprensorio militare di Santa Lucia, alle porte di Civitavecchia, è internazionalmente considerato un’eccellenza nel campo del disarmo chimico.

Venti mila proiettili chimici da neutralizzare
Qui, tra l’autostrada A12 e le falde del monte Tolfa, da vent’anni si continuano a distruggere le vecchie bombe e le scorte di agenti tossici dell’arsenale chimico fascista, più le migliaia di ordigni chimici che erano stivati nelle navi americane affondate nel 1943 dai bombardieri tedeschi nel porto di Bari, e che i militari italiani e statunitensi dopo la guerra pensarono bene di inabissare al largo di Molfetta (dove almeno il recupero è in corso, seppur lentamente e con modalità poco trasparenti, mentre le altre discariche di arsenali chimici continuano a far strage di fauna ittica da Ischia a Pesaro a Trieste, nel disinteresse delle autorità statali). Ad oggi al Cetli ci sono ancora migliaia di tonnellate di agenti tossici e 20mila proiettili chimici da neutralizzare.

Finora la bonifica è stata effettuata con un lento e complesso procedimento chimico le cui scorie tossiche vengono impastate in grandi blocchi di cemento che – in attesa di soluzioni di smaltimento che finora non sono state trovate – vengono accatastati all’aria aperta, sotto il sole che li crepa e la pioggia che li dilava, dove rimangono per anni e anni. Il pericolo di infiltrazioni tossiche nelle falde acquifere sottostanti il centro è evidente, ma trattandosi di area militare non sono mai stati eseguiti controlli. “Con il Cetli abbiamo una convenzione riguardante l’ex magazzino di armi chimiche di Ronciglione, sul Lago di Vico – spiega la dottoressa Rossana Cintoli, direttrice tecnica dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale (Arpa) del Lazio – ma non abbiamo mai avuto modo di effettuare analisi sull’impatto ambientale delle attività di bonifica che avvengono nel comprensorio militare di Santa Lucia a Civitavecchia”.

“La realizzazione dell’inceneritore è ormai decisa”
“Ora pare vogliano riparare questi blocchi di cemento sotto delle tettoie, in attesa di spedirli in Germania per gettarli nelle miniere di sale abbandonate”, dice il consigliere regionale del Lazio Gino De Paolis (Sel) riferendosi alle miniere della Bassa Sassonia che già ospitano rifiuti radioattivi. Un’ipotesi che dimostra la pericolosità di questi monoliti di cemento abbandonati alle intemperie tra i boschi laziali. Il problema dello smaltimento delle scorie, oltre alla lentezza dei tempi di lavorazione, ha spinto la Difesa a studiare fin dal 2009 un sistema alternativo di distruzione di queste armi, individuandolo nell’ossidazione termica: in parole povere, un inceneritore.

“Dalle informazioni in nostro possesso, la realizzazione dell’inceneritore è cosa ormai decisa”, spiega De Paolis, che sulla vicenda ha presentato il 5 settembre un’interrogazione urgente al presidente del Consiglio regionale, Daniele Leodori (Pd). “E’ stata individuata da tempo la ditta costruttrice, un’azienda tedesca, ed è stato predisposto uno stanziamento da 16 milioni di euro. Ma trattandosi di opera coperta da segreto militare, non è stato effettuato nessuno studio pubblico di impatto ambientale e sanitario”. Un dato confermato dalla stessa dottoressa Cintoli di Arpa Lazio. “Del progetto dell’ossidare termico non sappiamo assolutamente nulla: non siamo stati né informati né interpellati in merito dal Cetli”.

       

Interrogazione M5S al ministro Mario Mauro
Sull’argomento è sceso in campo anche il Movimento Cinque Stelle con un’interrogazione parlamentare al ministro dalla Difesa Mario Mauro, presentata il 16 settembre dalla deputata Marta Grande, di Civitavecchia. “L’incidenza dei tumori nel mio territorio causati dell’inquinamento industriale e portuale è già drammatica e questo progetto di inceneritore suscita grave allarme”, spiega la giovane parlamentare. “Chiediamo al ministro Mauro di dirci se la nuova tecnologia che si intende impiegare comporterà rischi per la salute dei cittadini e chiediamo che per accertarlo vengano condotte verifiche indipendenti”.

Un’altra interrogazione parlamentare è stata presentata l’1 di ottobre alla Camera dal deputato di Sinistra Ecologia e Libertà Filippo Zaratti, che chiede alla Difesa di sospendere l’iter di realizzazione dell’inceneritore per approfondire gli effetti ambientali e sanitari di tale scelta e di garantire un’adeguata informazione e pubblicità su questo progetto.

La Difesa non risponde e inizia la costruzione
Informazione e pubblicità non facili da ottenere. Il fattoquotidiano.it ha chiesto per giorni chiarimenti sulla vicenda alla Difesa, che alla fine ha risposto di non poter rilasciare nessuna dichiarazione in attesa dell’audizione parlamentare del ministro Mauro in risposta alle interrogazioni delle opposizioni. Ad oggi la data di questo chiarimento non è ancora stata fissata. Nel frattempo, però, ci riferiscono che tra i boschi di Civitavecchia i preparativi per la costruzione del nuovo impianto sono già iniziati.

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