Le armi di distruzione ci mettono una fifa addosso da farci paura; per impedire di usarle, ci abbiamo fatto una guerra – l’invasione nel 2003 dell’Iraq, che non ne aveva –  ed un’altra stavamo per andare a farla in Siria. Eppure, le armi di distruzione di massa, proprio perché il terrore che destano dissuade dall’usarle, hanno fatto poche vittime dalla fine della Seconda Guerra Mondiale a oggi: l’atomica, per fortuna, non l’ha mai usata nessuno, che sia legittimato ad averla – i Cinque con diritto di veto all’Onu – o che non lo sia – Israele, Pakistan, India, Corea del Nord, dopo che il Sud Africa vi rinunciò -; le armi chimiche sono state usate, in modo sporadico e non su larga scala, nel conflitto Iran-Iraq, contro i curdi, di recente in Siria .

Invece, le armi convenzionali sono state micidiali: sono loro le vere armi di distruzione di massa, brutali come il napalm o intelligenti come gli ordigni che si infilano nei bunker, senza però distinguere se siano centri di comando militari o ricoveri per civili. Missili, cannoni, carri, mitra, fucili, pistole hanno ucciso negli anni decine di milioni di persone, tuttora ne fanno fuori circa 2000 al giorno in media al Mondo. Ed è ipocrita fare spallucce davanti a 100mila e più morti ammazzati in Siria e poi insorgere per le vittime dei gas.

I dati e soprattutto le riflessioni vengono da un convegno, alla Camera, per discutere il problema, ma anche per segnalare il fatto che, per una volta, l’Italia è stata leader in Europa con la Germania, sulla ratifica del nuovo Trattato sul commercio delle armi illegali. Voluto dalla presidente Boldrini, il seminario ha coinvolto ministri, deputati, diplomatici, esperti, organizzazioni internazionali.

In realtà, pochi lo sanno, che l’Italia abbia ratificato il Trattato e che l’abbia fatto per prima nell’Ue. Essendo stato il voto unanime, in assenza di polemiche di sorta fra i partiti, la ratifica è passata quasi inosservata ai media e, quindi, ai cittadini. Fosse saltato su un Brunetta del disarmo, ad infiammare la discussione, l’inchiostro sarebbe colato.

Ad oggi, il Trattato, approvato da 154 Paesi, è stato “ratificato da meno di 10” e ne servono 50 perché entri in vigore. Per convincersi che l’accordo sia una buona cosa, basta guardare chi s’è opposto: la Corea del Nord, la Siria e –in attesa che il nuovo corso faccia il suo corso- l’Iran. Mentre, per capire che l’intesa non tocca solo situazioni dei guerra, basta vedere che Messico e Nigeria l’hanno ratificata fra i primissimi, Paesi che subiscono la violenza di criminalità e terrorismo.

Bisogna ora coinvolgere nell’attuazione i grandi esportatori, Stati Uniti, Russia, Cina, che coprono il 60% dell’export d’armi mondiale – il resto è sostanzialmente assicurato dall’Ue -; convincere l’industria che le nuove regole sono nel suo interesse; misurare l’efficacia del Trattato nei confronti dei ‘mercanti di morte’; e coinvolgere di più la società civile, in prima linea in questa battaglia.

Per l’Unione, le regole sul commercio delle armi sono un tassello del mercato comune della difesa, cui sarà dedicato un Vertice europeo a metà dicembre: il ministro Mauro è consapevole del rischio che l’appuntamento sia un festival del “dire senza fare”, mentre –in un contesto in cui i 28 dell’Ue spendono per la difesa più di Usa, Russia e Cina, con 120 miliardi l’anno di sprechi e duplicazioni- l’ambizione dovrebbe essere quella di mettere in comune le risorse nella prospettiva di una vera e propria difesa europea.

 

 

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