L’Inter, dal punto di vista dell’assetto societario, si trova dinnanzi ad un passaggio epocale: secondo quanto riferito dalla stampa, a Parigi, da un paio di settimane vi sarebbe stato un pre-accordo per la vendita della maggioranza del pacchetto azionario (circa il 70%) al magnate indonesiano Thohir. Alla famiglia Moratti resterebbe ancora il 30% e il controllo, quantificabile in due/tre anni, della complessa fase di transizione. Il tutto avverrebbe per il bene dell’Inter.

Da intellettuale e uomo libero quale presumo di essere, vedo luci e ombre e provo a esplicitarle nella maniera più trasparente possibile. Nessuno nega la buonafede, la passione per l’Inter e i cospicui investimenti per sostenere la squadra; la storia dell’Inter è in larga misura la storia della famiglia Moratti da Angelo a Massimo, scandita dai risultati, ben otto scudetti su diciotto, e tutte e tre le vittorie in coppa dei campioni e nella coppa intercontinentale. Sono dati incontrovertibili.

Vengo alle “ombre”. Massimo Moratti nel periodo post-triplete – magari mal consigliato dall’ineffabile Marco Branca o per un eccesso di rispetto per la memoria paterna, per l’ossessione di non risultare più vincente del padre – ha commesso una serie di errori: nella scelta degli allenatori, in primo luogo e negli acquisti sostanzialmente errati (come giudicare altrimenti un esterno sinistro come Pereira per undici milioni di euro o addirittura quello di Schelotto per tre milioni e mezzo di euro e la metà del cartellino di Ljvaia?). Errori che hanno portato l’Inter dalla conquista del triplete al nono posto in campionato.

Una seconda considerazione: tra i suoi dirigenti l’Inter annovera un certo dott. Fassone, ex-juventino doc. Non sono mai stato un nominalista, ma un’osservazione è d’obbligo: in uno dei migliori ristoranti romani, Roscioli di via Giubbonari, viene offerto tra le pietanze l’hamburger di carne fassone, ossia piemontese doc al cento per cento. L’Inter annovera tra i suoi dirigenti uno juventino doc che, tra l’altro, si era già distinto per il suo estremismo in merito al contestato scudetto del post-calciopoli.

Questo per il passato, vengo ora a Tohir e al futuro. Può rappresentare senza alcun dubbio una prospettiva lungimirante aprirsi ai mercati asiatici che costituiscono il baricentro dei futuri equilibri economici internazionali, in questo l’Inter è coerente con la sua vocazione originaria, ma quello che mi preoccupa è la vaghezza dei programmi. Sento ripetere troppo spesso dalla stampa che il nuovo modello dell’Inter è l’Arsenal ossia una squadra che valorizza i giovani ma che non vince quasi mai. O, almeno, vince ancor meno dell’Inter del passato che, comunque, ha garantito due cicli straordinari, con Helenio Herrera negli anni ’60 e con Mourinho negli ultimi.

Il futuro dell’Inter dovrebbe essere lo stesso dell’Udinese, ottima squadra che valorizza i giovani per cederli, non vincendo quasi nulla e dovrebbe dunque adeguarsi ai comportamenti dei tifosi della stessa che tifano per la maggior parte, come seconda squadra, per la Juventus. Non accetterò mai questo triste destino, anche se rimanessi l’unico interista estremo sulla faccia della terra.

Ben venga il magnate indonesiano, ben venga la possibilità di aprirsi ai grandi mercati asiatici per far lievitare il più possibile in alto il nome Inter, ma non potrò mai rassegnarmi al destino di una squadra ancillare, vicariale, complementare al dominio della Juventus, come sta avvenendo nel corso degli ultimi due anni. Non so quale tipologia di sangue scorra nelle vene della dirigenza interista e in quelle del dottor Fassone.

So, invece, con certezza che le mie sono irrigate da sangue tempestoso e non da acqua di basso profilo qualitativo. Non sono un nostalgico del passato ma voglio aprirmi alle sfide del futuro, conservando però sempre quella mentalità vincente – e valoriale e sportiva – che caratterizza sin dalla sua nascita il dna interista, il suo universalismo ossia il progetto di esprimere attraverso il calcio i valori della cultura, della solidarietà e fratellanza senza mai abdicare a questa gloriosa tradizione.  

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