Ora che si constata come la grazia formato Berlusconi, al di là dell’attentato ai principi fondamentali della Costituzione che fa effetto solo ai cittadini onesti, dunque un po’ sprovveduti, non esiste in natura e non può uscire nemmeno dal profondo cilindro di Napolitano, tutta l’offensiva berlusconiana si appunta contro la legge Severino.

Dato che la vergogna è un sentimento troppo demodé e la coerenza è decisamente poco trendy, è scattata la gara anche tra “eminenti” esperti, giureconsulti “garantisti” e supporter del “condannato innocente” per affossare come incostituzionale, pasticciato, dettato dall’emergenza del “caso Fiorito” il ddl sull’incandidabilità dei condannati votato a suo tempo anche dal partito del grande perseguitato.

La vetrina per l’annuncio dell’offensiva di settembre contro la decadenza da senatore del condannato in via definitiva che pretende la grazia senza riconoscere la sua colpevolezza e reclama via Cicchitto un nuovo intervento del capo dello Stato, non poteva essere che il Meeting di Cl, dove è bene ricordarlo, se Formigoni non fa più gli onori di casa è sempre acclamatissimo.

Ci ha pensato “il mite” Schifani a bollare come “inconcepibile” il voto favorevole alla decadenza, a sollecitare questioni pregiudiziali di incostituzionalità, e soprattutto ad avvertire Letta e i “compagni” delle larghe intese che al loro “no” politico alla “agibilità” per Silvio il Pdl contrapporrà un altro no, quello alla sopravvivenza del governo.

Il capogruppo al Senato ha ribadito che il condannato non chiederà né la grazia, comunque non risolutiva in primis per l’appressarsi di condanne ben più definitive con tanto di interdizione perpetua dai pubblici uffici, né i domiciliari che appannerebbero l’aura di eroico resistente alla bieca prevaricazione giudiziaria. La mossa formalmente annunciata al Meeting è quella che doveva già essere messa in campo secondo la Santanché e le amazzoni di complemento all’indomani della sentenza: i ministri si dimetteranno dal governo appena in giunta sarà votata l’applicabilità della decadenza come previsto dalla legge Severino. 

Nell’arco di pochi giorni e dopo la nota del Colle, su imput pressante dei capigruppo del Pdl, che doveva fare chiarezza riguardo la questione della cosiddetta “agibilità politica” di Berlusconi, con un balletto sempre più indecoroso si è arrivati ad una nuova richiesta di intervento del capo dello stato, alla minaccia formalizzata di far cadere comunque il governo e al ricatto più che mai esplicito al Pd: o salva ancora una volta l’incondannabile oppure dà l’addio alle larghe intese.  

Ad abundantiam Schifani ha pure ribadito che il Porcellum per ora non si tocca e che la riforma elettorale sarà la ciliegina sulla torta delle grandi riforme istituzionali, inclusa ovviamente quella della giustizia, sulla nota traccia dei “saggi”.

Allora valeva la pena che il Capo dello Stato, il presidente del Consiglio e il Pd ai massimi livelli  si facessero coinvolgere in questa pochade istituzionale per ritrovarsi sempre alla casella di partenza?

Il giorno della verità, quello del voto sulla decadenza in giunta non è molto lontano: vedremo presto se è vero, come dice Rosy Bindi che il Pd non baratterà mai la tenuta dell’esecutivo con la legalità e se come ha ricordato opportunamente Epifani l’onore viene prima del governo. 

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