Perché tanti uomini sono convinti sia normale e legittimo maltrattare mogli, compagne e fidanzate? Quali meccanismi mettono in atto per far sentire le donne stesse responsabili delle violenze subite? Se lo chiede Lundy Bancroft nel suo ultimo libro edito da Vallardi, “Uomini che maltrattano le donne. Come riconoscerli per tempo e cosa fare per difendersi”. Consulente giudiziario e co-direttore di Emerge, la prima organizzazione negli Stati Uniti a offrire programmi di riabilitazione per uomini violenti, l’autore ha lavorato per 15 anni con uomini che maltrattavano le partner. Dagli oltre 2mila casi ha imparato a riconoscere i segnali di pericolo cui una donna dovrebbe prestare attenzione per prevedere quando l’aggressività verbale ed emotiva sfocerà nella violenza fisica.

Obiettivo del libro è “fornire alle donne uno strumento per proteggersi, fisicamente e psicologicamente dagli uomini maltrattanti”. A tutte loro l’invito a “rompere gli indugi e parlare dei maltrattamenti” subiti anche laddove potrebbero vergognarsi di un partner prepotente e violento e temere di essere giudicate male o al contrario che parenti, amici e conoscenti vogliano talmente bene all’uomo da dubitare delle parole della donna. Riconoscere il maltrattamento in un rapporto di coppia è talvolta difficile non solo per uno spettatore esterno ma anche per la donna stessa. Perché “spesso gli uomini maltrattanti non sembrano tali. Godono della stima degli amici, hanno successo nel lavoro e non hanno problemi di droga o alcol”. Così una donna difficilmente pensa che il partner sia violento e non tarda ad attribuirsi la colpa.

Allora come identificare un uomo maltrattante? Minimo comune denominatore è che “sono riluttanti a riconoscere il loro problema e i danni che hanno provocato alle donne, e spesso anche ai bambini, e si aggrappano disperatamente alle loro scuse e all’abitudine di scaricare la colpa sulle vittime”. Una sorta di identikit che conferma a ilfattoquotidiano.it anche Domenico Matarozzo, counselor allo Sportello Ascolto Disagio Maschile di Torino: “Non si attribuiscono le responsabilità e non vedono la realtà oggettiva. Per loro i cattivi sono sempre gli altri. Il 60% degli uomini che si rivolgono a noi hanno tra i 40 e i 60 anni, il 30% dai 20 ai 40. La loro composizione sociale è eterogenea”. Il primo contatto avviene al telefono, cui seguono diversi incontri individuali, grazie ai quali gli uomini vengono indirizzati ai gruppi di condivisione o al gruppo di counseling dove iniziano un percorso di consapevolezza.

In casi più gravi si consiglia uno psicoterapeuta o uno psichiatra. “Per lo più ci contattano per difficoltà nelle relazioni di coppia. Magari si sono già macchiati di gesti violenti nei confronti della partner ma non lo ammettono. Anzi si ritengono vittime. Dobbiamo fargli prendere atto della violenza compiuta, non negarla né minimizzarla”. Un aiuto importante per il recupero dei maltrattanti che si basa sull’azione dei volontari. La struttura si avvale infatti di quattro counselor che rispondono a turno al telefono e compongono i gruppi di condivisione. “Operiamo con il contributo della Provincia e col Comune di Torino che ci ospita nei suoi spazi. Purtroppo ci sono sempre meno fondi a fronte di un malessere sociale sempre più diffuso. Il nostro obiettivo è prevenire, intercettare il disagio prima che si manifesti”. Per un maschile consapevole, che abbandoni la logica della prevaricazione per sostituirla con il riconoscimento del valore delle differenze.

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