Nono appuntamento con la nuova rubrica del Fatto.it: Leonardo Coen, firma del giornalismo italiano, racconta il centesimo Tour de France tra cronaca, ricordi, retroscena e aneddoti.

Lui pedala già nel futuro. Gli altri remano all’indietro. Chris Froome ha perso per un soffio la cronometro del Mont Saint Michel: una sbandata all’ultima curva e sul traguardo ha lasciato dodici secondi, per la gioia del soldato Tony Martin, un tedescone che ha pedalato più forte del vento e della maglia gialla. Ma Froome è lo stesso il grande vincitore dell’undicesima tappa. In appena 33 chilometri ha di nuovo ipotecato il Tour numero 100, e questa volta di brutto. Ha sbaragliato gli avversari, dandogli tre secondi mezzo al chilometro e cancellando ogni dubbio residuo: è lui il più forte. In montagna attacca e quando la squadra lo abbandona, tiene a bada i velleitari rivali. I distacchi che il britannico nato in Kenya ha inflitto sono infatti quasi sentenze di morte (ciclistica). L’olandese Bauke Mollema è quello che se l’è cavata meglio, buscando un minuto e 53 secondi. Alejandro Valverde, due minuti secchi. Alberto Contador, due minuti e 3 secondi. Il suo scudiero Roman Kreuziger 2’06”. L’altro olandese Laurens Ten Dam 2’20”. Il colombiano Nairo Quintana, molto più giù, a tre minuti e 16 secondi: ha perso la maglia bianca del miglior giovane. C’è poco da aggiungere: i numeri sono giudici impietosi. Froome è il padrone del Tour. Gli altri, gli fan corona. A debita distanza. Se c’era un minimo dubbio, lui l’ha fugato col cipiglio del dominatore.

Domenica c’è un nuovo insidioso test: quello del Mont Ventoux, totem della Grande Boucle, strada di sofferenza, memorie di drammi. Una salita che però non ha mai deciso il Tour. Fa parte della sua leggenda, vi è morto il povero Tom Simpson, vittima di una cotta micidiale (il caldo e un cocktail di sostanze vietate). Contador, nel giorno del riposo, ha dichiarato che il Tour non è ancora deciso, che le occasioni per ribaltare la situazione ci sono e la prima è proprio quella offerta dall’arrampicata del Ventoux: “E poi, nell’ultima settimana, può succedere di tutto”. Siamo i primi ad auspicarlo, ma non credo che dopo la crono sia ancora così tanto sicuro. Certo, l’Alpe d’Huez due volte di seguito alla diciottesima tappa mette paura a tutti, ma alla vigilia il calendario propone un’altra cronometro, ossia nuova fascina che Froome metterà nel suo fienile. Insomma, se dobbiamo valutare ciò che è stato capace di fare sinora, mission impossible per El Pistolero che dominò il Tour 2009 (con Armstrong compagno di lusso) e che aveva vinto per pochissimo il Tour del 2007 (un terzo, nel 2010, gliel’hanno revocato a tavolino per il caso della bistecca al clenbuterolo).

Nel Tour, come dicono i suiveurs, contano le gambe ma soprattutto la testa. Le gambe di Froome mulinano che è un piacere, la testa lo ha salvato domenica nella seconda tappa pirenaica, quando si è trovato solo contro tutti e non si è lasciato prendere dal panico, anzi. Si è comportato da consumata volpe del gruppo, ha intessuto l’alleanza con la Movistar, ha badato al sodo. Ormai il Tour si è frantumato in tanti Tour. Oltre a quello scontato, solitario e determinato della maglia gialla, c’è quello – divertente – per il secondo posto, un derby tutto spagnolo tra Contador e Valverde. C’è inoltre il Tour degli inattesi: gli olandesi Mollema e Ten Dam sono lì alle spalle dei big iberici. Il che dimostra una cosa: o gli spagnoli vanno piano, o gli sconosciuti olandesi vanno troppo forte. I loro curricula non sono esplosivi. L’arrampicatore Mollema, come risultati più significativi, ha vinto una tappa al Giro della Polonia del 2010, e una al Giro della Svizzera di quest’anno, a vent’anni ha conquistato il Tour dell’Avvenire. Quanto al socio Ten Dam, pure lui buon scalatore, è stato il migliore dei grimpeurs al Giro di Romandia del 2009, nei tre precedenti Tour in cui ha partecipato è stato 22esimo, 60esimo e 58esimo. No comment. Infine, c’è il Tour dei giovani: Quintana è il favorito, lo aspettiamo sulle salite alpine. Il polacco Kwiatkowski gli ha scippato la leadership grazie ad un’ottima crono. Insomma, il Tour 100 è tutto qui. Modello Sky. Le Monde, qualche giorno fa, è andato giù pesante: “La potion Sky”.

Lettura consigliata – Jacques Anquetil è stato forse il più grande specialista delle corse contro il tempo. Ci ha lasciato il 17 novembre 1987, sconfitto dal cancro. A dispetto delle sue innumerevoli vittorie (cinque Tour de France, tanto per gradire), ha ricevuto più fischi che applausi. Il pubblico amava Raymond Poulidor, eroe delle imprese sfortunate, eterno secondo o terzo o niente, più vicino al popolo di Jacquot, che aveva un atteggiamento quasi aristocratico. Per intenderci, “Poupou” lo vedevi bene nel bistro del paese, Jacquot lo immaginavi in un elegante ristorante, col secchiello dello champagne e una bionda charmante. Come, peraltro era nella vita. Anni fa acquistai un bel libro scritto da Raphael Geminiani, soprannominato le Grand Fusil, corse con Louison Bobet, con Fausto Coppi e Roger Rivière, di Anquetil fu il direttore sportivo. Raphael Geminiani è lo schietto autore di “Les annèes Anquetil”, “chronique d’une epoque bafouée”, edizioni Denoël, 1990.

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