Sette garanti della privacy da tutto il mondo scrivono a Google. Nel mirino finiscono gli occhiali del gigante di Mountain View, che conducono gli utenti nella realtà aumentata e consentono a chi li indossa di essere iperconnessi. Così le authority per la protezione dei dati personali di Canada, Unione europea, Nuova Zelanda, Australia, Messico, Israele e Svizzera hanno inviato una lettera a Larry Page, direttore esecutivo di Google, che vuole chiarimenti sulla tutela dei dati che passano dal dispositivo, non ancora sul mercato ma in fase di test beta.

“La nostra principale preoccupazione – ha spiegato il canadese Scott Hutchinson, tra i firmatari – è che Google non ci abbia finora nemmeno consultati e informati, per preservare la privacy in vista della commercializzazione di un prodotto potenzialmente molto invasivo”. Le autorità chiedono, tra l’altro, quali informazioni conservi l’azienda, per quanto tempo e per quali usi, che tipo di pratiche a salvaguardia della privacy adottino i suoi sviluppatori e se possono essere condivise con i garanti. E poi altri chiarimenti sul riconoscimento facciale, su cui si concentrano buona parte delle preoccupazioni. Si tratta di una tecnologia sulla quale anche Facebook si è scontrata con l’Unione Europea. Ma qual è il rischio? Il principale, secondo Hutchinson, è quello di essere identificati nei luoghi pubblici. In particolare, prosegue, “Google ha detto che non permetterà l’utilizzo di applicazioni che si basano sul riconoscimento facciale, e questo è positivo. Tuttavia c’è un problema: alcuni sviluppatori ci hanno avvertito che le applicazioni possono essere caricate nei Glass senza necessariamente il permesso dell’azienda. Vorremmo sapere come intende comportarsi Mountain View”.

Tuttavia, anche per i prodotti già esistenti, Google e la privacy sembrano non andare particolarmente d’accordo: proprio il 20 giugno infatti la Spagna ha aperto un’istruttoria contro l’azienda della Silicon Valley per cinque questioni riguardanti i dati degli utenti. In particolare sul loro uso, diffusione e conservazione. Non solo: anche la commissione nazionale francese (CNIL) ha chiesto chiarimenti sulle stesse questioni, dando un ultimatum di 3 mesi e in Germania, in Olanda e in Svezia cresce il malcontento delle autorità garanti sulla fruizione dei dati sensibili da parte dell’azienda. Critica anche l’Italia, dove nei giorni scorsi Antonello Soro ha espresso perplessità e richiesto più trasparenza per i diversi servizi incrociati.

di Olga Mascolo

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