Era da tanto che non mi emozionavo così. Che non mi sentivo così in contatto con il genere umano, con le sue miserie, con le sue paure quotidiane. Stiamo perpetrando un crimine inaudito restando silenti di fronte al capitale che stritola il lavoro e lo stato sociale, di fronte al mondo finanziario che strangola i valori che ci rendono umani. I media ci bombardano con immagini terribili. Fabbriche in cui muoiono centinaia e centinaia di persone che producono sottocosto i beni che consumiamo, storie di persone che con il lavoro e l’impresa perdono tutto, prima la dignità e poi la vita. E poi gli stessi media (e con essi tutti noi) ignorano la storia. La storia con la S maiuscola, quella di lungo periodo, quella che fluisce costante senza che nessuno se ne renda conto ma inglobandoci tutti. Quella che segna il passo di una trasformazione profonda nei rapporti tra economia, politica, società e storie individuali. Quella storia che sta tutta nella dignità di un gesto. La dignità che si afferma nel pianto innocente e sommesso di una donna che rappresenta tutto il genere umano.

Quando ero un giovanissimo studente di scienze politiche all’Università di Torino, un professore mi spiegò che è facile tagliare i trasferimenti sociali diretti (come i sussidi di disoccupazione) ma è praticamente impossibile tagliare i servizi essenziali (come il sistema sanitario nazionale). Questo perché il taglio dei servizi è molto più visibile e colpisce tutti. Le persone sono abituate a un sistema sanitario nazionale e non possono rinunciarvi. Quello che sta succedendo in Grecia sovverte tutto. Sovverte quello che insegno ai miei studenti. Sovverte quello che abbiamo osservato in sessanta anni di politiche sociali nel mondo occidentale. Sovverte tutto e ci de-umanizza se non gridiamo al mondo la nostra indignazione profonda. Ci de-umanizza se non ci spinge a metterci insieme per fermare la barbarie del capitale che distrugge tutto per l’interesse di pochi privilegiati.

In Grecia la spesa sanitaria è stata tagliata del 40% in due anni. Da 14 a 8 miliardi di euro. Questa verità si può raccontare con tanti altri numeri come faccio di solito con i miei studenti, oppure più semplicemente e poeticamente attraverso il pianto della violinista che suona per l’ultima volta nella sua orchestra.

Non possiamo fare finta di nulla di fronte alla tragedia greca, e questo non per spirito di carità, ma perché la loro tragedia è anche la nostra. E’ la tragedia di un continente che sta ritrattando valori fondamentali e universali che aveva portato alla ribalta attraverso lotte dure e continue. Primo fra tutti quello della solidarietà. La tragedia di un continente che aveva saputo rialzarsi dalle devastazioni profonde di due guerre garantendo a tutti i suoi cittadini diritti civili e politici, ma soprattutto sociali. La tragedia di un continente che aveva risposto alla povertà crescente con la redistribuzione della ricchezza, ai problemi sanitari con l’estensione universale del diritto di cura negli ospedali pubblici, alla disoccupazione con sussidi e aiuti, alla sete di sapere con la scuola pubblica. La tragedia di un continente che ritratta questi valori da più di un decennio e lo fa in modo brutale, proprio nel paese che più di tutti ha contribuito storicamente allo sviluppo del nostro modo di vivere, di pensare, di essere liberi e solidali.

Non si può lasciare cadere nel vuoto il pianto disperato della violinista greca, perché con lei uccidiamo tutte le lotte, tutti i valori per i quali sono morti milioni di persone nel nostro continente. Chiudere quell’orchestra è un segno di de-umanizzazione profonda. Un segno di de-umanizzazione più profondo di qualunque violenza o guerra. Chiudere quell’orchestra è dire che i conti e le banche da ripagare sono più importanti delle nostre stesse emozioni, di quello che ci fa vibrare l’animo. Non possiamo permettere che ancora una volta siano i più poveri e i valori più importanti a patire per una crisi generata dalla sete di arricchimento di pochi, e dalla creazione di un sistema diffuso di corruttele e disuguaglianze. Un sistema costruito ad arte per favorire alcune caste. 

Bisogna mettere insieme la rabbia che quel pianto sommesso suscita e la ragione che ci chiede di ridistribuire la ricchezza nel continente. Abbiamo creduto che certe conquiste sociali fossero acquisite. Non è così. Non c’e’ nulla che si può dare per scontato. Bisogna tornare a indignarsi e combattere per difendere quella stessa dignità che ci rende umani. 

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