Un libro del 1906 li definisce “trattamenti suggestivi”: nel capitolo XV de ‘La guarigione psichica’ di Yogi Ramacharaka (Venexia edit.) si legge che: “La salute fisica dipende in gran parte dall’autosuggestione: se un uomo mantiene un atteggiamento mentale di salute, forza e coraggio, questo si rifletterà sul suo corpo”. Considerato da Yogi Ramacharaka uno strumento di terapia, il trattamento suggestivo è la capacità del medico di instillare nel paziente la fiducia nella guarigione. Usare ogni parola sapendo che ha peso e conseguenze e può influire sulla psiche di chi la riceve.

Quale connessione esiste tra mente e corpo? Personalmente credo che la mente abbia una capacità enorme di condizionare il corpo, non solo nei cosiddetti “disturbi psicosomatici” ma nell’andamento globale della salute dell’individuo, nella risposta alle terapie, nel tipo e gravità di un’eventuale malattia. Non alludo a decisioni razionali e controllabili, ma all’enorme portata dell’inconscio e al potere creativo delle emozioni. Mai sentito dire che ci si ammala nell’organo sempre considerato debole, degno di massima protezione oppure oggetto di primaria attenzione? Mai sentito parlare di persone che “il giorno prima stavano benissimo, poi hanno fatto due esami e, scoperta la malattia, sono crollate nel giro di ore”? (Perché prima stavano benissimo, poi, alla comunicazione dell’esistenza della malattia, sono crollate?) Mai visti i ‘miracoli’ di pazienti che, pure in condizioni giudicate disperate, hanno vissuto a lungo e bene? Fa tutto parte del mistero, di ciò che la medicina non ha indagato a fondo. Fa parte della connessione tra le risorse recondite della psiche e il sistema della fisiologia del corpo.

Se corpo e mente sono interconnessi, bisogna che si sappia parlare alla mente per istruire il corpo a mantenersi o ritornare sano. Le parole hanno un potere simile ai farmaci, al bisturi, alle radiazioni. Non ci credete? Provate a dare un farmaco a qualcuno che sta male accompagnando il gesto con: “Tanto non funziona”. Scegliere parole e toni adeguati dovrebbe essere insegnato con la stessa attenzione che si dedica all’anatomia, alla chirurgia, alla patologia generale. La scelta dei termini, la modulazione del tono della voce, la presenza o assenza di un sorriso, il controllo dei moti involontari nella mimica fanno parte di un bagaglio culturale che, oggi, è lasciato al talento del singolo medico ma andrebbe invece spiegato nel corso degli studi.

Istruire i medici alla comunicazione non è la priorità: esistono corsi universitari, master, formazioni parallele consigliate ma non c’è la consapevolezza che la capacità comunicativa possa essere addestrata e migliorata, con un beneficio per la relazione tra medici e pazienti e un impatto sulla probabilità di guarigione. Sì, si può guarire grazie alle parole. E anche l’autosuggestione ha un ruolo importante. Che il medico sappia ogni giorno suscitare nei suoi pazienti la voglia di dire a se stessi: “Sto guarendo”.

 

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