La storia di Haiti e del suo orgoglioso e sfortunato popolo è costellata di tragedie e cataclismi; e le pur terribili catastrofi naturali, come gli uragani a cui l’isola è ciclicamente esposta, non sono neppure il peggio di quanto il destino ha riservato agli haitiani.

Più orrendi ancora sono stati i continui crimini commessi dall’uomo: cominciando dal mostruoso genocidio degli indigeni Taíno Arawak, che fu immediatamente seguito dall’infame e mai sanata vergogna della tratta negriera e della schiavitù degli Africani nelle piantagioni di canna da zucchero, caffè e tabacco; passando per la feroce, lunga dittatura dei Duvalier, per arrivare ad un drammatico presente, in cui si mescolano caos politico, violenza ed ingiustizia sociale, e l’abietta miseria in cui vivono i discendenti degli schiavi, nel paese più povero di tutto il continente americano.

E siccome la fortuna è cieca, ma la sfortuna purtroppo ci vede benissimo, il 12 gennaio 2010, Haiti è colpita da un disastroso, enorme terremoto che uccide, secondo le stime, almeno duecentomila persone, investendo, direttamente o indirettamente, oltre un terzo della popolazione del paese.

Ma al peggio non vi è mai fine, ed è così che nell’ottobre 2010 esplode anche una terribile epidemia di colera, che nel contesto già di per sè apocalittico del post-terremoto (che aveva distrutto, oltre al resto, anche gran parte delle miserevoli strutture sanitarie del paese), semina ulteriori panico e morte, estendendosi in poche settimane a tutta l’isola, e diffondendosi anche nella vicina Repubblica Dominicana, a Cuba e in Venezuela, ed arrivando persino a minacciare la Florida.

Dopo mesi di fortissime pressioni da parte della popolazione, finalmente l’Onu istituisce un panel di esperti destinato ad indagare le cause di questa disastrosa epidemia.

Nel maggio 2011, il panel rende finalmente pubblico il suo rapporto, il quale conferma quello che molti, ad Haiti, avevano sospettato fin dall’inizio: ovvero che l’origine dell’epidemia era da ricercarsi nel fiume Artibonite, la cui acqua, consumata dalla maggior parte delle persone infettate, era stata contaminata dalle feci dei peacekeepers nepalesi della locale base militare dell’Onu; rapporto successivamente confermato da uno studio condotto dall’epidemiologo francese Renaud Piarroux.

Quando il 15 novembre circola la notizia che un giovane haitiano ha perso la vita nella base dell’Onu di Cap-Haïtien, esplode la rabbia della popolazione (la cui pazienza era già stata messa a dura prova da gravissimi scandali sessuali che avevano condotto al rimpatrio di centoquattordici caschi blu della Minustah), scoppia una rivolta che durerà quattro giorni, durante la quale i caschi blu saranno accusati di avere sparato addosso ai manifestanti, mandandone almeno cinque all’ospedale.

In due anni e mezzo, il colera ha già colpito oltre seicentocinquantamila persone (più del 6% della popolazione del paese), uccidendone oltre 8.100 solo ad Haiti, e la malattia è divenuta endemica, promettendo di continuare a mietere numerose vittime nei prossimi anni, in un paese nel quale non erano mai stati in precedenza segnalati casi di colera in tutta la sua storia conosciuta.

Nel 2012, due organizzazioni, l’Ufficio degli Avvocati Internazionali e l’Istituto per la Giustizia e la Democrazia ad Haiti, in rappresentanza di un collettivo di oltre 5.000 vittime del colera, hanno avanzato una domanda di risarcimento all’Onu per le terribili sofferenze e i danni subiti dalle popolazioni; ma le Nazioni Unite hanno respinto ogni richiesta, invocando la propria immunità giurisdizionale, fondata sulla Convenzione sui privilegi e le immunità delle Nazioni Unite.

In questo contesto, l’Onu ha promosso un appello a raccogliere fondi per gestire l’emergenza-colera da essa stessa provocata, chiedendo agli Stati membri – e dunque ai contribuenti del mondo intero – due miliardi di dollari!

Miliardi di cui neppure un centesimo sarà usato per risarcire le vittime, come l’Onu ha già messo perfettamente in chiaro.

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