Il 17 maggio l’Ansa ha battuto il seguente lancio riguardante alcune battute di Beppe Grillo, rilasciate in un’intervista al canale statunitense Cnbc International, su Nigel Farage, leader dell’UK Independence Party ed eurodeputato euroscettico: “Non l’ho mai incontrato, l’ho seguito sulla rete, lui è uno straordinario oratore, ha detto cose violentissime al Parlamento europeo, ha fondato un suo movimento che sta andando molto bene, proprio euroscettico”. E poi ancora: “Quelli di Farage sono diventati parlamentari a 5 stelle. Quando li senti parlare, hanno questo modo di esprimersi che chiarisce che non hanno capi, perché Farage è un uomo libero. E questi parlamentari sono liberi”.

Ma attenzione, pretendendo di conoscere una persona solo attraverso un video o qualche post letto qua e là sulla Rete, sia pur in buona fede, si rischia di prendere un enorme granchio. Vediamo di fare un po’ di chiarezza. Nigel Farage, 49 anni, è il leader del partito di destra UK Independence Party (Ukip) ed eurodeputato dal 1999 (adesso alla sua terza legislatura). Al Parlamento europeo il suo partito fa parte del gruppo politico “Europa per la libertà e la democrazia” insieme alla Lega di Nord di Mario Borghezio (eurodeputato pure lui). Prima di entrare in politica e di fondare l’Ukip dopo alcune divergenze con i conservatori britannici, Farage faceva il broker a Londra, dove, secondo il quotidiano The Guardian, guadagnava 200.000 sterline l’anno (oltre 236.000 euro).

In Europa, come in madre patria, Farage è diventato famoso per le sgargianti cravatte rosa e i discorsi forbiti ed apertamente euroscettici che non perde occasione di rivolgere al Parlamento europeo, da dove orchestra la sua battaglia contro quell’Europa dalla quale secondo lui la Gran Bretagna dovrebbe uscire al più presto (e che gli paga lo stipendio, sempre secondo il The Guardian, 64.000 sterline l’anno, ovvero oltre 75.000 euro). Farage, ha duramente attaccato i governi tecnici greci e italiani imposti, secondo lui, dall’Europa (ma che in realtà hanno ricevuto la fiducia dei rispettivi parlamenti), rimpiangendo chi c’era prima, nel caso italiano Silvio Berlusconi.

L’Ukip non ha mai vissuto tanta gloria politica come in questo periodo di crisi e disaffezione nei confronti dell’Europa, tanto che alle ultime elezioni locali britanniche ha superato la soglia del 20 per cento, facendo per la prima volta davvero paura a David Cameron e ai suoi tories (da qui tanta insistenza sul referendum per uscire dall’Ue). Sì perché proprio l’uscita dall’Ue costituisce l’obiettivo principale dell’Ukip, al quale non basta che la Gran Bretagna non abbia né l’euro né faccia parte dello spazio di libera circolazione di Schengen.

Ma attenzione ad inneggiare a Farage come al baluardo della democrazia illuminata. Oltre all’euroscetticismo, il suo partito si contraddistingue per uno spiccato nazionalismo (alla La Russa diciamo), una concezione dell’economia estremamente liberale, una visione dell’immigrazione (anche intra europea, quindi italiani compresi) alquanto ristretta e molti punti interrogativi sui diritti civili, come l’obiezione ai matrimoni tra persone dello stesso sesso. Dal punto di vista fiscale, l’Ukip sorride alla cosiddetta “flat tax”, ovvero (semplificando) un’aliquota unica che non prenda in considerazione il reddito, allargando in questo modo la base imponibile (con la cancellazione di tutta una serie di detrazioni) e facendo un regalino ai paperoni (come chi guadagna 200.000 sterline l’anno). Durante l’ultima campagna elettorale, il The Times ha messo in evidenza come il programma economico dell’Ukip “avrebbe generato un buco nelle finanze pubbliche di 120 miliardi di sterline”. Le contestazioni non sono gradite. Sempre il 17 maggio, Farage ha bollato come “feccia fascista” alcuni manifestanti che lo avevano duramente contestato a Edimburgo ed invitato ad andarsene.

Insomma, a torto o ragione, l’Ukip e il suo leader vengono comunemente annoverati nella rosa dei principali partiti e movimenti populisti d’Europa, e questo perché, tra le altre cose, parlano più alla pancia che alla testa del loro elettorato. Insomma, vedere in Farage un emerito paladino della democrazia sembra alquanto azzardato. Tuttavia su una cosa ha ragione al cento per cento: l’Europa com’è oggi non va bene, ha bisogno, ad esempio, di più controllo e rappresentanza popolare. Due gli atteggiamenti possibili: distruggere o migliorare. Farage ha scelto, per convinzione od opportunismo politico, la prima via, quella dell’uscita dall’Ue. Altri preferiscono lavorare per dare al popolo più voce in capitolo, e questo ad esempio tramite un maggior potere del Parlamento europeo, proposte di legge d’iniziativa popolare e l’elezione diretta del presidente della Commissione europea. La storia dirà che ha ragione.

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