Stanno distruggendo il Pd dandosi la colpa l’uno con l’altro e, quel che è peggio, alcuni insultano quei cittadini che hanno voluto dire la loro.

I tempi sono cambiati e si impone anche un cambiamento dei modi di fare politica. Ma questo la gerenza del Pd non lo ha capito. Invece di cercare un colpevole dovrebbe prendersela con se stessa. Chi tra i suoi, soprattutto giovani, vuole cambiare prenda rapidamente un’iniziativa. Non è una buona cosa per la democrazia l’assenza di una grande forza di sinistra. Quanto alla rete, vari tromboni si lamentano per il suo effetto “eversivo” nell’attuale contingenza politica. Stupidaggini che fanno il paio con l’ottusità e la protervia dei vecchi potentati all’opera in questi giorni.

La rete non è un dogma e talvolta distribuisce anche fesserie, ma grazie ad essa il meccanismo di partecipazione dei cittadini diventa effettivo e permanente. Ormai è così e indietro non si può tornare. Peraltro, il problema maggiore di comprensione del fenomeno ce l’hanno i partiti autenticamente democratici e popolari e non quelli che hanno il loro demiurgo che fa e disfa senza sentire nessuno. Al di là delle baggianate che si leggono in queste ore, spesso conseguenti alla poca conoscenza del tema, dovrebbe ormai essere chiaro che Internet è stato ed è un formidabile mezzo per spingere ai cambiamenti politici.

La rete non è miracolosa, non è una religione, ma costituisce oggi l’unico strumento plausibile per l’esercizio di una partecipazione ampia alla discussione democratica.

Questo è il motivo per cui non è gradita e si tenta in ogni dove di comprimere i suoi effetti sul potere. I partiti devono stare al centro del meccanismo democratico ma per questa fondamentale funzione dovrebbero avere anche la capacità, soprattutto nella presente fase storica, di rinnovarsi, di stare vicino alla gente. Un partito per sua natura infatti tende a rappresentare un’idea di società.

Chi forma questa idea: i mercati, le classi dirigenti del partito medesimo al chiuso dei palazzi o piuttosto il sentire del popolo? Bastano poi le primarie una tantum per questo? Dunque, come si coglie questo sentire in una moderna democrazia se non con i mezzi tecnologici che consentono un rapporto diretto e permanente con i cittadini?

L’antipolitica (fenomeno pericolosissimo e gravido, come ci insegna la storia, di drammatiche conseguenze) non si alimenta di social network ma della mancanza di contatto con la vita di tutti i giorni. Il pericolo di un ruolo sostitutivo della rete francamente non sembra affatto emergere. Semmai l’assenza di consapevolezza del tema rende evidente l’assurdità dei vecchi rituali politici. Neppure si può scambiare per mitizzazione il ruolo del mezzo come motore di aggregazione, di protesta, di trasparenza. Sarebbe contraddittorio con l’affermata centralità della politica come esercizio di partecipazione, a meno che non si voglia intendere quest’ultima come manifestazione di un potere che va disturbato il meno possibile perché comunque depositario, quasi ontologicamente, di giuste ragioni.

La verità è che nel nostro Paese, invece di usare in senso riformista le grandi risorse del web per rafforzare la democrazia e rendere sempre più orizzontale il rapporto tra potere e cittadini, si combatte per spirito di conservazione una guerra ottusa contro il nuovo che avanza. Se poi a questo si aggiunge la crisi economica, l’assenza di etica pubblica e un sistema elettorale vergognoso, la frittata è fatta. Speriamo che nei prossimi mesi si abbia il coraggio di cambiare, di capire che il mondo non è più come una volta. La questione non sarà semplicemente la resa dei conti tra i vari gruppi dentro il Pd, o peggio riconfermare una politica che non si fa condizionare dalla piazza o dalla rete. Oggi infatti si pone in modo ineludibile il tema della revisione del modello di rappresentanza secondo un principio di rapporto permanente con i cittadini.

Solo così si potrà realizzare una visione autenticamente democratica e moderna della politica, quella visione non a caso messa al centro della riflessione di Stefano Rodotà.

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