Sarà pure “pretenzioso”, come si schermisce lui, ma Fabrizio Barca è già l’alternativa a Matteo Renzi. Al netto del congresso del Pd, in calendario per il prossimo autunno, il ministro per la Coesione territoriale è considerato “già in campo”: non ha fatto in tempo a prendere la tessera che è stato assunto come candidato dell’establishment non solo per la guida del partito, ma per la prossima corsa alla presidenza del consiglio. E lo dimostra il fatto che lo stesso Renzi stia agendo per sventare il duello sempre meno sotto traccia con lui, fin dalle elezioni del capo dello stato e la formazione del nuovo governo; due snodi dirimenti e interconnessi non solo nei piani del sindaco di Firenze ma nelle strategie delle differenti anime del Pd. Se non di tutto il sistema polito. A modo suo, infatti, il duello tra il sindaco di Firenze e il ministro per la coesione territoriale il congresso e lo stesso partito democratico, per tramutarsi in una partita “tra il sistema politico e l’antipolitica”: tra la spinta per Renzi e Grillo da una parte e il tentativo di reagire, anche riorganizzandosi, del sistema dei partiti dall’altra.

“Si sta ripetendo lo stesso film che vide protagonista Fausto Bertinotti quando venne di fatto assunto alla segreteria di Rifondazione comunista prima ancora di iscriversi”, ricorda dunque negli uffici di largo del Nazzareno qualche reduce di quelle esperienze. E in effetti il paragone calza: la figura di Fabrizio Barca si sta facendo largo nel Pd come quella intorno a cui si può raccogliere e ricomporre l’unità dei gruppi dirigenti, “l’amalgama non riuscita” tra ex Pci e ex Dc, come l’aveva definita Massimo D’Alema. A patto proprio che non appaia come la candidatura dell’establishment. “Per l’amor di dio”, ribatte al riguardo il dalemiano Michele Ventura, che da Renzi è stato sconfitto alle primarie per Palazzo Vecchio: “Barca è molto meno di apparato di Renzi – continua – che viene da una militanza tra i giovani della Dc”.

Allo stesso tempo il ministro rivendica di votare “a sinistra” del Pd, vantando un pedigree socialdemocratico e un cursus di studi all’estero inappuntabili. “E’ una figura robusta, con delle idee e rapporti di carattere internazionale”, dice ancora Ventura osservando maliziosamente che “non siamo alle velleità di qualche giovane turco”. Perché, per quanto “da” sinistra, il messaggio di Barca guarda in un certo senso alle forme più che ai contenuti, al partito e al suo ruolo più che all’azione di governo; e in quest’ottica catalizza provenienze differenti. Non solo Sel, dunque, che si sta affrettando a far ingresso nel Pd prima del rischio di nuove elezioni, ma anche le componenti ex Dc. In modo quindi che la candidatura di Barca diventi espressione unitaria del partito e non solo della sinistra vagheggiata attraverso la ricomposizione tra Sel e gli ex Ds, da D’Alema a Bersani; che non si vede perché dovrebbero acconciarsi a fare la minoranza nel Pd. “L’esperienza che ho fatto mi ha condotto a convincermi che il radicale cambiamento della macchina pubblica ha bisogno anche di un radicale cambiamento dei partiti”, dice in proposito Barca alla web tv del Fatto, rispondendo al rimprovero di non contendere i consensi a Berlusconi come il sindaco di Firenze. “Non cerco il consenso – ha chiarito – mi interessa il confronto”.

Ecco così che pure le aperture di Dario Franceschini al dialogo con Berlusconi possono risultare in sintonia con il piano Barca, a discapito dell’avvicinamento degli ex dc a Renzi e soprattutto di elezioni a brevissimo termine. L’intervista dell’ex segretario a favore del dialogo con Pdl è stata considerata figlia di un avvicinamento con Renzi, che comprendere anche Enrico Letta e tutta la componente popolare, a cominciare da Beppe Fioroni. Anche i dalemiani, d’altronde, stanno rivalutando il sindaco di Firenze, non a caso lodato da un fedelissimo come Nicola Latorre; mentre i “giovani turchi” sono divisi tra l’ipotesi di patteggiare una spartizione con Renzi attribuita a Matteo Orino e il tentativo invece di arginare il sindaco di cui sarebbe fautore Stefano Fassina.

Niente di più facile, però, che gli ex popolari tengano il piede in due staffe e diano perciò sponda anche a Bersani e Barca. Se Letta è più propenso a Renzi, ma meno al voto, da parte di Franceschini e altri ex dc si guarda con interesse anche alla prospettiva di “decantazione”. In quest’ottica il dialogo col Pdl, a cominciare dall’elezione del nuovo capo dello stato, dovrebbe aprire anche le porte al governo: governo di “scopo”, non di larghe intese, col lasciapassare non esplicito di Berlusconi e del centrodestra, per affrontare l’emergenza economica e “fare le riforme essenziali” a cominciare da una legge elettorale che consenta al sistema di difendersi dal fenomeno a 5 stelle. Un governo della cui formazione potrebbe essere confermato l’incarico a Bersani, ma anche (meglio) a Letta. E che perciò frenerebbe la rincorsa di Renzi verso nuove elezioni sia dentro che fuori il Pd per dare il tempo di “preparare l’operazione Barca”.

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