thatcher-hongkongÈ morta di ictus, all’età di 87 anni, Margaret Thatcher e i giornali cinesi ricordano come, nonostante la meritata nomea, la Lady di Ferro si sia trovata a dover indietreggiare di fronte un leader ben più forte di lei: Deng Xiaoping, quello del “socialismo con caratteristiche cinesi” e del “non importa se il gatto sia bianco o è nero, l’importante è che acchiappi i topi“.

Era il settembre del 1982 quando si incontrarono a Pechino per discutere sul destino di Hong Kong. All’epoca la Thatcher era ancora piena del discutibile trionfo sulle Falklands e sembrava irremovibile. Se Pechino avesse continuato a insistere per riprendersi la sovranità sull’ex colonia, britannica sarebbe stata una tragedia: “chi ha soldi e capacità lascerà immediatamente il territorio. Di conseguenza il collasso economico sarà irreversibile”.

Il primo ministro britannico insisteva sul fatto che la Gran Bretagna avrebbe dovuto gestire l’ex colonia anche dopo che la licenza sui Nuovi Territori fosse scaduta nel 1997. Ma in questo caso fu Deng a vincere il braccio di ferro. La sovranità su Hong Kong non era un fatto che poteva essere discusso e la Repubblica popolare si sarebbe ripresa i territori di Hong Kong non appena la licenza fosse scaduta.

Alla fine Londra abbandonò il progetto di mantenere la sovranità su Hong Kong dopo il 1997 e le due parti firmarono nel 1984 la Dichiarazione congiunta sino-britannica.

Molti hongkonghesi si sentirono traditi. Emily Lau Wai-hing, all’epoca giornalista dell’ormai scomparsa rivista Far Eastern Economic Review non può nascondere la sua collera neppure oggi. “Non penso che [la Thatcher] abbia fatto del suo meglio per proteggere gli interessi di Hong Kong. […] Gli inglesi hanno governato l’isola per cento anni, ma non gli hanno concesso la democrazia neppure quando sapevano che l’avrebbero dovuta restituire alla Cina”.

Un paese, due sistemi. Il primo è ancora arrabiato con la Lady di Ferro, il secondo la ricorda con nostalgia perché si rivelò più duttile del previsto.

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