Si può pensare di utilizzare i flussi di reddito sottratti alle attività illegali per interventi di spesa a favore del bene comune? Prima di tutto bisognerebbe capire di che cifre si tratta. Calcolarlo non è semplice, ma ricerche recenti suggeriscono che sono molto inferiori a quanto si crede.

di Mario Centorrino* e Pietro David** (lavoce.info)

In campagna elettorale, si è più volte accennato ai ricavi della criminalità mafiosa come flusso di reddito illegale da “aggredire”, per poterlo utilizzare in altri interventi di spesa a favore del bene comune. (1) Ma a quanto ammonterebbero questi ricavi?
Prima di procedere, sono necessarie tre premesse. Non c’è alcuna correlazione tra le stime del cosiddetto fatturato attribuibile alla criminalità organizzata (mafia) e il suo ruolo negativo e penalizzante sul territorio, sui mercati, sull’attrazione di investimenti. Il rapporto tra mafia ed economia è perverso e distorsivo oltre la dimensione dell’economia mafiosa. Benché quest’ultima susciti spesso l’interesse mediatico, non è però il solo parametro significativo per valutare la pericolosità della mafia sia sotto un profilo istituzionale che produttivo.
Le metodologie di calcolo, poi, sono per forza di cose approssimative, perché accanto a dati diffusi da fonti istituzionali (denunzie, sequestri, confische) c’è il cosiddetto numero oscuro, costituito dai reati non denunziati o non accertati. Per recuperarlo si utilizzano, in genere, proxy ritenute valide dalle fonti investigative istituzionali. Nel caso di sequestri di droga si stima un rapporto di 1 a 10, ad esempio, per calcolare il consumo complessivo di droga in un certo periodo di tempo.
In altri casi, si utilizza il rapporto tra la domanda di contante e l’attività produttiva, individuando nella eventuale sproporzione a favore della prima l’esistenza di un’economia invisibile della quale il fatturato della mafia è parte.
Infine, i flussi di reddito illegale che ci si propone di aggredire possono essere intercettati con due modalità assai diverse. La prima modalità è attraverso sequestri e confische degli asset mobiliari o immobiliari costituiti attraverso forme di riciclaggio o di auto riciclaggio. Sono asset che non possono essere messi in valore sul mercato, ma solo destinati a fini sociali. Il patrimonio sottratto fino a oggi alla criminalità organizzata e a disposizione dello Stato ammonta a 20 miliardi (ma altre stime qualificate lo considerano maggiore). Non può essere alienato ai privati, malgrado siano state avanzate diverse proposte legislative in tal senso, che comunque escludevano la dismissione di beni-simbolo della lotta dello Stato contro la criminalità organizzata. L’80 per cento degli asset confiscati (17 mila costruzioni e 1.700 imprese) è localizzato nelle quattro Regioni dell’obiettivo convergenza: Sicilia, Calabria, Campania, Puglia. Secondo i dati dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati, il 90 per cento delle aziende confiscate fallisce a causa dell’inadeguatezza dell’attuale legislazione, incapace di garantire gli strumenti necessari per l’emersione alla legalità e di valorizzarne a pieno l’enorme potenzialità economica.
La seconda modalità prevede invece interventi preventivi e repressivi che impediscano la formazione di flussi di reddito illegale.

Un buco nero nei conti?

Da queste premesse deriva la necessità di un’estrema cautela al momento della formulazione di cifre riferite all’economia della criminalità organizzata (diversa da quella della criminalità comune). Per esempio, il rapporto annuale Sos Impresa, ormai alla XIII edizione (2012), continuamente richiamato negli esercizi di calcolo del fatturato mafioso, sostiene che i ricavi complessivi della “Mafia spa” ammonterebbero a 138 miliardi di euro, con un utile pari a 105 miliardi. Il rapporto non precisa in modo chiaro le fonti utilizzate e la metodologia impiegata.
Studi che adottano modelli econometrici rigorosi, compresi alcuni paper della Banca d’Italia, hanno affrontato il problema con la metodologia del rapporto tra la domanda di contante e il Pil.
Tra questi, un lavoro di Guerino Ardizzi, Carmelo Petraglia, Massimiliano Piacenza e Gilberto Turati attribuisce all’economia criminale un valore pari al 10,9 per cento del Pil. (2) La stima, sulla base della domanda di contante, è stata ottenuta con il calcolo delle denunzie per droga e prostituzione standardizzata per la concentrazione provinciale del Pil (rapporto tra il Pil provinciale e la media del Pil nelle altre province).
Una seconda versione dello studio, adottando un diverso modello che distingue ulteriormente tra attività illegali (attività appropriative e mercati illegali) presenta valori inferiori, stimando il riciclaggio generato dall’economia criminale tra il 7 e l’8 per cento del Pil.
Questi lavori hanno costituito la documentazione di base per l’audizione presso la Commissione parlamentare antimafia del vice direttore della Banca d’Italia e la testimonianza ha indotto la Commissione nella sua relazione del 2012 a reiterare la cifra fatidica di 150 miliardi di euro come fatturato delle mafie. (3)
Resta in questa sequela di valutazioni un punto non ben chiarito: se cioè l’economia criminale derivante da attività illegali (Banca d’Italia) possa sovrapporsi senza alcun “caveat” all’economia criminale organizzata.
I risultati di una recentissima ricerca, attraverso una stima condotta utilizzando dati “aperti” o tratti da documenti investigativi ufficiali di carattere nazionale e internazionale, sui ricavi a disposizione delle organizzazioni criminali mafiose, portano a un drastico ridimensionamento delle cifre prima ricordate. (4)
Infatti, i ricavi ammonterebbero in media all’1,7 per cento del Pil. In particolare, nella ricerca vengono individuati ricavi che variano da un minimo di 18 miliardi a un massimo di 34 miliardi. In sostanza, considerato che il Pil nel 2012 è stato stimato dall’Istat in 1.395.236 milioni di euro (calcolato a prezzi concatenati), la media di ricavi per il 2012 ammonterebbe a 23,7 miliardi di euro.
Ma c’è un ulteriore approfondimento nella ricerca citata, alla quale ovviamente rimandiamo. Viene infatti calcolata la quota delle attività illegali che finisce in mano alle organizzazioni mafiose (tra il 32 e il 57 per cento). Si ipotizza in questo studio che solo una parte delle attività illegali analizzate sia considerata controllata da organizzazioni criminali vere e proprie (ad eccezione delle estorsioni, in quanto tipiche delle organizzazioni mafiose). Sicché, i ricavi attuali delle mafie variano da un minimo di 8,3 a un massimo di 13 miliardi di euro, pari rispettivamente al 32 o 51 per cento dei ricavi illegali totali.
Nei conti dell’economia criminale organizzata sembra dunque emergere una sorta di “buco nero”, così come del resto avviene per altre voci dell’economia invisibile (evasione, sommerso, informale). Sicché al momento utilizzare il riferimento al fatturato mafioso come voce per finanziare interventi di politica economica appare azzardato. Intanto per un’opacità di stima, poi perché il “patrimonio” mafioso sequestrato e confiscato non può essere immesso sul mercato, e ancora perché si rischierebbe di cadere in un paradosso: temere cioè che un maggiore contesto di legalità impedisca il formarsi di una voce di entrata cui era già stata assegnata una finalità in un bilancio pubblico per quanto virtuale.

 (1) In genere, nelle analisi l’economia illegale è costituita dalle attività di sfruttamento sessuale, di commercio illecito di armi da fuoco, di traffico di droga, di contraffazione, di gioco d’azzardo, di smaltimento illecito di rifiuti, di contrabbando, di usura e di estorsione. Ovviamente parliamo di economia illegale sia con riferimento alle criminalità sia con riferimento alla criminalità organizzata (cosa nostra, ‘ndrangheta, camorra).
(2) Ardizzi, G., Petraglia, C., Piacenza, M. e Turati G. (2012), “Measuring the underground economy with the currency demand approach: a reinterpretation of the methodology, with an application to Italy”, Banca d’Italia, Temi di Discussione No.864.
(3) Segnaliamo altri “mantra” acriticamente ripetuti: il costo della corruzione in Italia, si dice, è pari 60 miliardi di euro. E questo solo perché la Banca Mondiale sostiene che la corruzione vale il 3 per cento del Pil. Se questo dovesse diminuire, diminuirebbe quindi anche la corruzione. Ma siamo davvero convinti della validità di queste correlazioni?. Giusto per dare un’idea del rapporto tra attività di contrasto e fatturato della criminalità organizzata, la Guardia di finanza segnala per il 2012 una sottrazione alla criminalità organizzata di 3,8 miliardi di euro a fronte di ricavi che variano nelle stime da 105 miliardi a 8-13 miliardi di euro per anno. Il che suggerisce un’alternativa: o queste azioni di contrasto non solo “aggrediscono”, ma anche demoliscono (ipotesi minima) ovvero sfiorano appena l’obiettivo (ipotesi massima).
(4) Non sono stati inseriti flussi di reddito criminali per attività come il gioco d’azzardo per il quale non risultano stime ufficiali. Progetto PON Sicurezza 2007-2013 Gli investimenti delle mafie, ministro dell’Interno, Università Cattolica Sacro Cuore, Transcrime. Il rapporto di ricerca è consultabile sul sito.

*E’ Ordinario di Politica Economica nell’Università di Messina. E’ stato Commissario Straordinario dell’IRCAC (Istituto Regionale per il Credito alla Cooperazione. E’ stato vice-presidente del Comitato Scientifico dell’Osservatorio Regionale sull’Economia Siciliana del Banco di Sicilia. Consulente esterno dal del Ministero dell’Interno sui rapporti tra economia e criminalità organizzata (1996-1997). Consulente presso la Presidenza nazionale della Confcommercio (1996-1997) su tematiche attinenti la criminalità economica. E’ stato consulente esterno della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul fenomeno della mafia (1997-1999). Consulente economico del Presidente della Regione Siciliana (1998-1999). Componente dell’ Osservatorio socio-economico della criminalità organizzata presso il C.N.E. L. (1999-2001). E’ stato Direttore del Centro per lo Studio e la Documentazione della Criminalità Mafiosa dell’Ateneo di Messina (1997-98) e componente del Comitato Scientifico del Centro Internazionale di Documentazione sulle Mafie e sul Movimento antimafia di Corleone.( 2000-2002).

**Pietro David è PhD in Economia ed Istituzioni presso l’Università degli Studi di Messina e docente a contratto in Politica Economia nella facoltà di Scienze Politiche. Svolge inoltre attività di consulenza con enti locali e società di servizi in qualità di esperto dei processi di sviluppo locale e programmazione territoriale. Tra i suoi lavori, Le infrastrutture aeroportuali, La domanda di trasporto aereo e le politiche regionali Aracne Editrice 2012, ed, insieme a Mario Centorrino, Le città della Fata Morgana. 5° Rapporto sull’economia della provincia di Messina (2009), Franco Angeli.

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