C’è un retroscena che fa da sfondo alla giornata più lunga del Movimento 5 stelle. E che porta alcuni a uscire dal solco della linea ufficiale del gruppo e a scegliere Pietro Grasso a palazzo Madama. E racconta di tre votazioni, al termine di un’assemblea tesissima e a tratti turbolenta tra i senatori del Movimento, dalle quali esce vincente l’ipotesi dell’astensione con 38 voti. Un esito che spiega il perché in tarda serata Grillo richiama il rispetto dell’opinione della maggioranza del gruppo.

Per tutto il pomeriggio, prima dell’appuntamento in aula, l’unico punto fermo tra i senatori a 5 stelle è il no a Schifani. Dubbi su quello gli eletti non ne hanno quando entrano nella sala al terzo piano, per ridiscutere la posizione da tenere al ballottaggio. È il nome di Grasso invece a mettere a dura prova la coesione del gruppo. “Meglio accettare il compromesso e bloccare così ogni possibilità a Schifani, oppure proseguire sulla strada della coerenza rischiando però di apparire come una forza irresponsabile con il rischio di fare un autogol?” è il dubbio messo sul tavolo da una frangia di senatori, provenienti soprattutto dal sud Italia. “Se vince Schifani quando torniamo in Sicilia ci fanno il mazzo” dice senza mezzi termini qualcuno. I toni si alzano, alcuni urlano, altri hanno le lacrime agli occhi, si sbattono pugni sul tavolo.

Al termine del dibattito, come previsto, si sceglie la via collegiale: decisione per alzata di mano. Le mozioni sul tavolo sono tre. Nessuna viene esclusa. Alla fine numeri decretano la vittoria di coloro che preferiscono tirarsi fuori dai giochi: 38 braccia si alzano a favore dell’astensione, 21 a favore della libertà di voto e 18 a favore della candidatura di Pietro Grasso. Con alcuni senatori che si esprimono due volte, sia per la libertà di voto, sia per la scheda bianca.

La gran parte del gruppo, quindi, rifiuta il voto a Grasso. Per questo Grillo, dopo alcune ore, decide di intervenire a gamba tesa con un post sul suo blog. E ricorda agli eletti i patti presi prima della candidatura, con la sottoscrizione del codice di comportamento. Il testo citato prevede infatti di attenersi, per ogni votazione in aula, alla linea decisa dalla maggioranza dei parlamentari del Movimento 5 stelle. Nel caso di ieri, quindi, alla strategia del non voto.  

Il rimprovero ha i toni durissimi. Grillo chiede nomi e cognomi. “Se qualcuno non ha votato secondo l’opinione della maggioranza, “ha mentito agli elettori, spero ne tragga le dovute conseguenze”. Il pensiero di molti va subito alle espulsioni. Ma non è così. È lo stesso codice citato da Grillo a smentire quest’ipotesi. Perché al sesto punto, sotto la voce trasparenza, si legge: “I parlamentari del M5S riuniti, senza distinzione tra Camera e Senato, potranno per palesi violazioni del Codice di comportamento, proporre l’espulsione di un parlamentare del M5S a maggioranza. L’espulsione dovrà essere ratificata da una votazione on line sul portale del M5S tra tutti gli iscritti, anch’essa a maggioranza”. Saranno loro quindi ad avere l’ultima parola.

E non è detto che si attengano a quella di Grillo. Considerando che il giorno successivo alle votazioni c’è chi, tra i senatori, rivendica apertamente la propria autonomia. “Beppe Grillo non si è candidato, non è in parlamento con noi, non è nelle nostre discussioni” scrive la senatrice Paola Nugnes su Facebook. “Nel suo blog ha fatto un invito a chi ha votato Grasso a dichiararlo. Forse è contestabile poiché il voto è segreto e la sua segretezza è sinonimo di democrazia e di libertà. Libertà da pressioni e da condizionamenti esterni. Ma in assemblea anche io chiederò se qualcuno, oltre quelli che lo avevano dichiarato prima del voto, abbiano poi votato diversamente. Sarà un invito, come quello di Grillo, e nulla di più perché chiedere è lecito ma rispondere è nella coscienza di ogni uno e nella libertà individuale non farlo”.

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