Ermanno Cavazzoni, Daniele Giglioli, Bruno Giorgini, Christian Raimo, Wu Ming 4, Federico Bertoni, Monica Dall’Asta, Maurizio Matteuzzi, Donata Meneghelli. Unico assente (giustificato): Gianni Celati. Bisogna partire da questi nomi di scrittori, professori e critici letterari per raccontare l’incontro “Il labirinto del No:  Bartleby di Herman Melville”, organizzato dal gruppo dei Docenti Preoccupati. Cinque ore filate di discussione sul testo di Melville a 160 anni dalla sua pubblicazione. Invitato d’eccezione il collettivo bolognese Bartleby, reduce da un doppio sgombero e dal sequestro dell’aula universitaria “Roveri” occupata per oltre un mese.

Ad aprire i lavori Bertoni, docente di letteratura all’Università di Bologna che esplicita subito le regole del gioco. “Sia chiaro, questa giornata è dedicata alla riflessione su uno dei personaggi più enigmatici della letteratura contemporanea”. Poi la postilla: “L’università incapace di promuovere il confronto e dedita solo a far quadrare il bilancio può pure chiudere”. Di fronte a lui, in un’aula universitaria strapiena, docenti, ricercatori e studenti. Chi seduto per terra, chi schiacciato contro il muro, una ventina costretti addirittura a restare fuori. Quando tocca a Ermanno Cavazzoni, scrittore, sceneggiatore e docente all’Alma Mater, il discorso parte dalla frase che ha reso celebre lo scrivano di Wall Street: “Mi ha sempre incuriosito quel ‘preferirei di no’ ripetuto da Bartleby. Di quel ‘I would prefer not to’ mi colpisce l’ostinazione, la resistenza decisa ma gentile, anche un po’ buffa”. Poi la svolta: “Non mi sorprende che quelli del collettivo abbiano adottato il personaggio di Melville”. E ancora. “Io l’ho detto al rettore Dionigi: sponsorizzali, aiutali. Non appoggiare Bartleby è pura coglioneria”. Applausi, e si ritorna all’analisi del testo. L’intervento di Cavazzoni dà il segno di una giornata dedicata alla letteratura e al Bartleby del 1853, non al collettivo bolognese. Un’analisi del testo di Melville che naturalmente diventa pretesto per dare al collettivo quel riconoscimento negato per ora dalle istituzioni cittadine. Non un sostegno politico, quanto piuttosto un riconoscimento di legittimità (culturale) dato dai docenti e scrittori ai ragazzi e alle ragazze del collettivo.

“La nostra esperienza nasce dal testo di Melville – spiega Michele Barbolini, dottorando e attivista del collettivo nato nel 2009 dentro l’Onda studentesca – Il Bartleby del racconto si connota con un atto linguistico forte e radicale, che spezza la logica del discorso dominante, quella dell’avvocato e di Wall Street. Come Bartleby non vogliamo più fare i copisti”. Paolo La Valle, anche lui attivista e ricercatore, chiude citando Renzo Tramaglino di fronte a Don Abbondio: “Si piglia gioco di me? Che vuol ch’io faccia del suo latinorum?”. Una frecciata nemmeno troppo velata al Rettore Dionigi, da tempo bersaglio polemico del collettivo. Tra letture e interpretazioni c’è anche il tempo delle proposte, questa volta concretissime.“E’ ora di rilanciare l’idea di una casa cittadina della letteratura – dice Gian Mario Anselmi, professore di letteratura dell’Università di Bologna – Penso ad un luogo dove si possa parlare di cultura ma anche di politica. Qualcosa che dovrebbe nascere dall’impegno non solo dell’Università ma di tutta la città”. Una proposta che piace a tutti, da Giglioli a Cavazzoni, fino a Wu Ming 4, che conclude così: “Quel luogo però c’era già, e mi ci trovavo pure bene. Un giorno l’ho trovato murato”.

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