Tolto Grillo, è il flop dei “nuovi“, da sinistra  a destra. I risultati del voto del 24-25 febbraio, non ancora definitivi ma ormai consolidati, registrano l’insuccesso di Ingroia e Giannino, entrambi capilista alla Camera per i rispettivi movimenti, entrambi rimasti fuori da Montecitorio. Ma anche di un leader popolare come Nichi Vendola. E quasi scompaiono i due partiti che di nuovo si erano vestiti appoggiando il disegno centrista di Mario Monti: Udc e Fli. Con il presidente della Camera, Gianfranco Fini, che resta fuori da Montecitorio.

La Rivoluzione civile di Antonio Ingroia non attecchisce e resta inchiodata intorno al 2%: poco di più alla Camera, poco di meno al Senato. Una sconfitta che lascia sul terreno una vittima illustre: Antonio Di Pietro, che ha rinunciato a presentare liste dell’Italia dei valori per candidarsi con il magistrato . Fare per fermare il declino è all’1%, anche in questo caso con un’oscillazione in basso a palazzo Madama e in alto alla Camera, ma si parla di uno-due decimi di punto. Possono aver pesato le disavventure accademiche di Oscar Giannino, con la questione del finto Master, ma non ci si aspettavano comunque grandi numeri. 

Pesante la sconfitta di Sel e del suo leader Vendola, che con un magro 3% contribuisce in negativo allo scarso risultato del centrosinistra guidato da Bersani, specialmente al Senato (alla Camera c’è il premio di maggioranza nazionale a controbilanciare il danno). Se il risultato sarà confermato, Sel entra a Montecitorio per il rotto della cuffia, grazie al fatto che il Porcellum abbassa la soglia di sbarramento al 2% per le liste collegate a una coalizione che superi il 10. A Palazzo madama la soglia è del 3%, e il partito di Vendola deve attendere con una certa apprensione lo spoglio dell’ultima scheda. 

Per di più, inaspettatamente rispetto alle previsioni della viglia, il governatore della Puglia “perde” anche la sua regione, al momento conquistata dal centrodestra nel voto per il Senato e per la Camera. In Puglia, al Senato Sel sfiora il 7%, ma perde il 3% rispetto alle regionali che nel marzo 2010 confermarono Nichi Vendola presidente. 

Pessima anche la sorte dei montiani d’appoggio. Gianfranco Fini scompare letteralmente dalla scena politica, almeno a giudicare dal risultato di Fli: sotto lo 0,5% alla Camera, risultato non inatteso, ma significativo per un leader che prima della rottura con Silvio Berlusconi era accreditato come possibile suo successore alla guida del centrodestra italiano. Non va troppo meglio all’Udc di Pier Ferdinando Casini, poco sopra l’1,5% alla Camera. Sia l’Udc che Fli non hanno presentato il simbolo al Senato, essendo confluiti in “Scelta civica” di Monti. Casini “sopravviverà” in parlamento essendo capolista della lista di Monti in diverse regioni, mentre Gianfranco Fini resta fuori, avendo scelto di fare il capolista di Fli per la Camera, dove il partito è lontanissimo dalla soglia di sbarramento. Non sarà possibile il suo recupero come miglior perdente sotto il 2%, perché nella coalizione di Monti l’Udc ha ottenuto per la Camera solo l’1,78%.

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