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Produttività italiana: chimera o ricetta per far ripartire la crescita?

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Cosa lega la durata dei processi civili e gli investimenti in brevetti? Il legame c’è, anche se può non apparire evidente: l’efficienza del sistema giudiziario e le scelte di investimento contribuiscono a spiegare la produttività delle imprese italiane. I processi civili italiani sono interminabili e investiamo poco in ricerca. Non a caso la produttività italiana dal 1994 ad oggi è stata molto più bassa rispetto ai principali paesi europei come Francia, Germania. Chi ne paga le conseguenze? I lavoratori, i cui salari reali sono praticamente fermi da vent’anni, le imprese, per le quali un’assenza di produttività implica una perdita di competitività nei mercati internazionali, e più in generale il paese perché la produttività è un ingrediente fondamentale per la crescita.

La produttività misura la quantità di prodotto finito che si ottiene dati i fattori produttivi utilizzati: è quindi un indicatore di efficienza. Spesso si parla solo di produttività del lavoro (considerando il lavoro come unico fattore produttivo) ma se includiamo anche gli altri fattori, scopriamo che in Italia la produttività non solo è bassa ma addirittura negativa! Come possiamo invertire questa tendenza e far ripartire la crescita? Il problema è certamente complesso ma vi proponiamo qui alcune chiavi di lettura e idee d’intervento.

L’Italia registra investimenti in capitale fra i più alti d’Europa ma la più bassa crescita del Pil. Questo apparente paradosso può essere spiegato dall’eccessivo investimento in capitale tangibile (ovvero macchinari e apparecchiature) a discapito di quello intangibile (come software e brevetti). Al contrario, in tutti gli altri paesi europei, il capitale intangibile ha un peso maggiore. L’Italia non ha quindi necessariamente bisogno di aumentare il livello di investimenti ma dovrebbe modificarne la composizione, muovendosi verso forme di capitale più moderne e innovative (come ricerca e sviluppo o nuove pratiche organizzative).

Un’analisi settoriale svela inoltre che i servizi professionali e alle imprese sono i principali colpevoli della crescita negativa della produttività. Questo è un settore chiave perché, fornendo servizi a tutte le altre imprese, ha forti ripercussioni sul resto dell’economia. Riforme volte a favorirne l’efficienza e la concorrenza potrebbero quindi rappresentare un passo nella giusta direzione per aumentare la competitività delle nostre imprese e far ripartire la crescita.

Un’altra fonte importante di crescita della produttività viene dalla semplice riallocazione di risorse verso le imprese più produttive, che dovrebbero avere la possibilità di espandersi a discapito di quelle inefficienti. Questo è possibile solo in un sistema economico efficiente in cui il mercato del lavoro e del credito siano messi in condizione di funzionare correttamente e svolgere la loro funzione allocativa (molto si è fatto soprattutto in tema di lavoro, ma tante distorsioni rimangono o sono state create, come la famosa dualità).

Quello che forse più ci manca? La voglia di cambiamento basata sulla convinzione che una maggiore flessibilità e competizione, la lotta alle rendite di posizione, e la promozione basata sul merito non siano un salto nel buio di cui aver paura, ma opportunità uniche per tornare a crescere ed aumentare il nostro benessere. Purtroppo, però, sembra che l’intero paese sia ancora condizionato dall’ideale dell’ostrica di verghiana memoria.

di Giuseppe Berlingieri e Novella Bottini

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