Sono entrati in carcere dopo sette anni e mezzo dall’omicidio di Federico Aldrovandi. Devono scontare appena sei mesi per effetto dell’indulto anziché tre anni e mezzo come da condanna definitiva. E ora ricevono la solidarietà di un senatore della Repubblica, che mercoledì varcherà personalmente i cancelli dell’Arginone di Ferrara per dire a Luca Pollastri e Paolo Forlani che lui, candidato con Fratelli d’Italia, è con loro.

Alberto Balboni, ex Msi, ex An, ex Pdl e ora numero due in lista per Palazzo Madama con la lista della Meloni nella circoscrizione Emilia-Romagna, non farà mancare il proprio appoggio ai due poliziotti pregiudicati per omicidio colposo. Pollastri e Forlani sono gli unici agenti dei quattro condannati a essere rinchiusi a Ferrara. Monica Segatto è detenuta a Rovigo, mentre per Enzo Pontani il tribunale di sorveglianza di Bologna si pronuncerà il 26 febbraio.

L’iniziativa di Balboni si inscrive in una azione di protesta politica contro la decisione del giudice di sorveglianza di Bologna, che aveva rigettato l’istanza di affidamento in prova ai servizi sociali o in subordine ai domiciliari. “La detenzione domiciliare come misura alternativa al carcere viene concessa praticamente a chiunque – sostiene Balboni – si trovi nelle condizioni degli agenti incarcerati, anzi persino a condannati per reati molto più gravi. Tra l’altro, nella mia lunga carriera di avvocato, non avevo mai visto negare l’affidamento in prova a condannati per reato colposo e con pena residua di appena sei mesi”. Delitto colposo sì, anche se due procuratori generali e tre tribunali hanno ipotizzato negli anni la natura preterintenzionale dell’omicidio o anche il dolo eventuale.

Ma non basta. Oltre alla solidarietà personale, il senatore mostrerà la propria vicinanza agli agenti anche attraverso una interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia che depositerà nei prossimi giorni per chiedere ragione di quella che definisce “una disparità di trattamento inspiegabile”: “non si tratta di mettere in discussione una sentenza definitiva che, anche se opinabile, ha ormai forza di legge. Si tratta soltanto di pretendere che lo Stato non si accanisca contro i propri servitori trattandoli peggio di criminali incalliti, perché anche se hanno sbagliato non lo hanno di certo fatto volontariamente e soprattutto lo hanno fatto non per difendere interessi personali ma nell’adempimento del loro dovere”.

E poco importa se tre gradi di giudizio hanno ritenuto quei servitori dello Stato colpevoli di aver “bastonato di brutto per mezz’ora” un ragazzo di diciotto anni, disarmato, incensurato, portandolo alla morte al termine di quella che i vari giudici che si sono occupati del caso hanno definito a turno una “azione sproporzionatamente violenta e repressiva”, un pestaggio compiuto “con percosse e calci anche dopo averlo atterrato”, un “uso eccessivo della forza nei confronti di una persona” attuato da “schegge impazzite”.

Ma Balboni ribadisce che la sua iniziativa riguarda soltanto la decisione di negare i domiciliari, “cosa mai vista in Italia per una fattispecie colposa”. Quindi se gli agenti non fossero finiti in carcere non avrebbe manifestato solidarietà? “No, non l’avrei fatto”.

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