In questo periodo si moltiplicano in via esponenziale gli attacchi ai magistrati che hanno deciso di offrire al Parlamento le loro competenze giuridiche. Ma di tutte queste aggressioni e critiche mi sfugge davvero il senso. Si è detto che il magistrato, in quanto imparziale (e comunque solo quando svolge sue funzioni), poi non può scendere in campo schierandosi con una delle parti.

Tale affermazione non ha senso, innanzitutto, per i candidati indipendenti, che ben sono previsti nel nostro assetto costituzionale. Che dire poi dei vari Ingroia, che non si sono schierati da nessuna parte ma hanno fondato un proprio movimento politico? 

La critica potrebbe quindi valere solo per quei magistrati che si sono schierati con la destra (come Nitto Palma, fortemente voluto dal centrodestra, che lo nominò anche ministro della Giustizia) o dalla sinistra (come Piero Grasso, capo della Direzione nazionale antimafia), rispetto ai quali, però, la politica non ha avuto gran che da ridire. Ciò però, sia chiaro, è solo il frutto della degenerazione della politica, posto che l’art. 67 della Costituzione impone che i parlamentari svolgano la propria funzione senza vincolo di mandato, il che vuol dire che non dovrebbero mai votare secondo ciò che vuole il partito, ma sempre scegliere solo secondo la propria coscienza ciò che è giusto e ciò che non è giusto imporre per legge.

Resta comunque da capire se un giudice che si dedichi temporaneamente alla politica leda in qualche modo la sua immagine di indipendenza. Prendiamo diversi esempi:

 1) il primo: un giudice che si occupa di sinistri stradali, separazioni e divorzi, infiltrazioni condominiali e cose di questo genere. Potrà mai dirsi che la sua professione sarà influenzata dalla sua esperienza politica? Credo di no. 

2) secondo: un giudice che lavori presso il Tribunale dei minorenni. Credo che la conclusione non possa che essere la stessa.

3) terzo: un pubblico ministero che si occupi di reati minori (o, ad esempio, di reati contro la persona: sequestri di persona, violenze sessuali, lesioni, omicidi, diffamazioni, ingiurie).  Idem come sopra.

4) quarto. Un pubblico ministero che si occupi anche di mafia. A questo punto siamo ad un bivio. Ci sono tanti modi di fare il PM e diverse capacità. Ci sono PM che si sono limitati a contrastare solo l’ala “militare” della criminalità organizzata e PM che per merito, intuito, bravura, coraggio hanno visto oltre, ed hanno indagato sul rapporto tra mafie, massoneria e politica (possiamo sinceramente mettere in dubbio che non esistano questi rapporti?). Allora, questo è il punto: ha senso escludere questi magistrati, gli unici con una simile esperienza, dal Parlamento? O non sarebbero invece da escludere quelli che non sono stati capaci di vedere (o hanno preferito non farlo) il rapporto tra politica e istituzioni?

Per questo mi sfugge davvero sfugge il senso di queste critiche (provenienti purtroppo anche da una parte della magistratura stessa); anche perché si finisce per concludere con il paradosso che in Parlamento ci possono stare gli indagati ed imputati di quei PM bravi e coraggiosi, e non i “buoni” che hanno perseguito i loro reati e cercato la verità.

Concludo rilevando come, tempo fa, in occasione del 180 anno dalla istituzione del Consiglio di Stato, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano auspicò che, al fine di migliorare la qualità delle leggi (da Egli definita come oggetto di un sensibile scadimento), fossero i magistrati (del Consiglio di Stato) a dare il loro contributo professionale in tal senso.

Prova ne sia che nel Governo Monti, da Egli fortemente voluto, c’erano magistrati ministri (Patroni Griffi) e magistrati sottosegretari (Catricalà e S. Malinconico). Ne capisco le ragioni: i magistrati hanno una competenza tecnico-giuridica che certamente non hanno i molti medici, veterinari, enologi, imprenditori e vallette che ci rappresentano (ed è giusto che ci siano, tranne qualche valletta di troppo) nelle aule legislative e, in più, non hanno una visione condizionata dalla loro qualità di “parte” nel processo (come gli avvocati) avendo perciò una visione libera ed indipendente dei problemi normativi.  

Ma a questo punto viene da chiedersi, seguendo il ragionamento del Capo dello Stato, se i magistrati devono aiutare i politici a fare le leggi, cosa dovrebbero fare se non andare in Parlamento a servire il Paese?

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