Il culto di Mussolini in Italia – Ciao Duce

Testata: Spiegel
Data di pubblicazione 4 gennaio 2013
Articolo originale di Hans-Jürgen Schlamp
Traduzione di Giampiero Budetta e Claudia Marruccelli per www.italiadallestero.info 

Adolf Hitler - Benito MussoliniIn Germania impensabile, in Italia normale: con l’arrivo dell’anno nuovo le pareti di uffici e case si riempiono di calendari di Mussolini, il “capo del fascismo”. Per molti il Duce resta un galantuomo. Silvio Berlusconi usa abilmente questa situazione per i propri fini.

In uniforme di guerra o con la mano tesa nel saluto fascista, è in bella mostra in edicola, in libreria e su Internet: il Duce Benito Mussolini, fondatore e “capo del fascismo”, gode di grande popolarità sui calendari italiani. Un mese è raffigurato con l’elmetto e il mento sollevato, un altro sfoggia una daga romana, sempre con l’immancabile mento volitivo. Anche i suoi prodi soldati con l’elmetto marciano baldanzosi tutti gli anni, a colori o in bianco e nero, affiancati dai simboli dell’immaginario fascista come la svastica.

I turisti stranieri, soprattutto tedeschi, restano allibiti davanti a questa esibizione così esplicita e verificano furtivamente la data dei calendari. Ebbene sì, l’ex dittatore italiano vanta anche nel 2013 una fedele comunità di ammiratori che non si limita solo a comprare calendari.

“Sei l’unico Dio”

Questo culto del Duce, così incomprensibile agli stranieri, si manifesta in tutta la sua portata a Predappio, un paesino dell’Emilia Romagna di poco meno di settemila abitanti, che nemmeno varrebbe la pena visitare. Ma è qui che il 29 luglio 1883 nacque Benito Amilcare Andrea Mussolini, figlio di un fabbro e di una maestra elementare, il “Duce”, precursore e per molti versi modello ispiratore del “Führer” Adolf Hitler.

All’epoca questo desolato paese si chiamava ancora Dovia. Ma il suo figlio più famoso decise di trasformarlo in un fulgido esempio di architettura fascista, ribattezzandolo Predappio. Più tardi, nel 1945, dopo la sua fucilazione da parte dei partigiani e l’esposizione del cadavere appeso a testa in giù a un distributore di benzina di Milano, l’ex dittatore fu tumulato a Predappio insieme alla madre, al padre, alla moglie, alla figlia, alla nuora e al fratello.

Oggi la cappella di famiglia è abituale meta di giovani visitatori con teste rasate e lunghi impermeabili neri, che si mettono in posa per farsi fotografare. Nei libri di condoglianze si leggono frasi come “sei l’unico Dio”, e qualcuno solleva il braccio destro. Il cosiddetto “saluto romano” dei fascisti italiani sarà anche meno marziale della versione dei nazisti tedeschi, ma non per questo è più simpatico.

“Mussolini era un galantuomo”

Ogni anno centinaia di migliaia di visitatori si recano a Predappio, riempiendo bar, ristoranti e soprattutto i negozi di souvenir dedicati al Duce sul corso principale. Qui si possono acquistare tagliacarte, portacenere, monete, camicie, pantaloni, barattoli del caffè, vino, boccali di birra che sfoggiano frasi come “credere, obbedire, combattere”, o “boia chi molla”. Ovviamente Mussolini troneggia ovunque, con il suo mento marcato e il saluto fascista. Ci sono anche bandiere con la svastica, rune delle SS e busti del Duce color bronzo di 38 centimetri, al prezzo di 45 euro.

E non manca nemmeno il busto di Hitler, naturalmente molto più piccolo con i suoi 16 centimetri, in compenso però al prezzo stracciato di soli 15 euro. Questi articoli attirano di tanto in tanto anche qualche neonazista tedesco che così può farsi una bella bevuta con un boccale per le grandi occasioni: birra dentro e fuori la foto di Adolf con la scritta sottostante “Der Kamerad”, a soli tre euro.

Però gli italiani in genere snobbano i gadget nostalgici nazisti. Perché stonano con la versione storica largamente diffusa nel loro paese. Il più affermato negoziante locale di “souvenir del Duce”, Pierluigi Pompignoli, l’ha sintetizzata così: “Hitler era un criminale, invece Mussolini era un galantuomo”.

Rimozione collettiva del passato

Ciò non significa affatto che un gran numero di italiani abbia aderito di nuovo al fascismo. La maggior parte di loro, anche gli ammiratori del Duce che si recano a Predappio, o comprano il calendario di Mussolini, non vota per partiti di estrema destra. Mette la crocetta sul simbolo del “Popolo della libertà” di Silvio Berlusconi, oppure vota per i cristiano-democratici, o il centrosinistra. Ad esempio, i sindaci di Predappio sono da molti anni di sinistra.

Molti italiani ammirano Mussolini perché sotto la sua egida furono aperti uffici postali in ogni città e  furono prosciugate le paludi della Maremma sulle quali furono poi costruite comode strade diritte. E anche perché, come si tramanda, ai suoi tempi i treni erano puntuali.

L’esaltazione del Duce è basata soprattutto su una cosa: un mare di chiacchiere. Le conoscenze di questo capitolo di storia d’Italia sono scarse e di conseguenza si sono diffusi miti e mezze verità. Un confronto autentico con il fascismo non c’è mai stato: poco dopo la guerra i fascisti erano di nuovo ben visti. C’era bisogno di loro nella lotta, globale e nazionale, tra capitalismo e comunismo. Del resto, agli inizi della sua ascesa, lo stesso Mussolini aveva ottenuto finanziamenti dalla Francia e dai servizi segreti britannici.

Gli italiani non hanno elaborato il loro passato, bensì lo hanno rimosso collettivamente. Gli attacchi con il gas in Etiopia contro i civili? Mai sentiti o dimenticati. L’aggressione all’Albania e alla Grecia? Sconosciuta. Solo così è stato possibile creare “il mito del buon soldato italiano”, ha dedotto già qualche anno fa Lutz Klinkhammer, dell’istituto storico tedesco di Roma.

Le leggi razziali di Mussolini del 1938, l’intervento italiano nella guerra civile spagnola a fianco di Francisco Franco e Hitler, deportazioni, fucilazioni di ostaggi? No, non può essere. Noi eravamo brava gente. I cattivi erano i tedeschi. E le poche colpe di cui ci siamo macchiati in fondo sono abbastanza veniali. Come ad esempio l’esilio forzato degli intellettuali dissidenti in contrade remote che, come ha affermato Berlusconi quando era ancora a Palazzo Chigi, erano tutt’al più delle “vacanze al confino”.

Un paese più sano grazie alla destra

Berlusconi ha proseguito con successo il processo di rimozione iniziato nel dopoguerra. Quando all’inizio degli anni ’90 scese in politica, aveva bisogno dei postfascisti per ottenere la maggioranza dei voti. Quindi li sdoganò, si alleò con loro e li accolse nel suo governo.

Mirko Tremaglia, già ministro per gli Italiani nel mondo, si vantava di essere stato un combattente della Repubblica di Salò fedele ai nazisti (1943-1945). L’allora ministro delle comunicazioni Maurizio Gasparri annunciò di voler “promuovere talenti culturali di destra” per porre fine all’egemonia della sinistra nelle scuole e nei canali Rai. Su sua iniziativa il catalogo della mostra “Roma dal 1948 al 1959” si fregia di frasi come: “Grazie alla cultura della destra, che ha continuato a svolgere un’azione di resistenza, l’Italia è ancora oggi un paese più sano delle democrazie che vanno verso il nichilismo”.

Eppure Berlusconi & C. non hanno fatto dell’Italia un paese di destra. L’allora partito postfascista “Alleanza Nazionale” si è frammentato e oggi è politicamente quasi irrilevante. Anche i micropartiti collocati più a destra riscuotono pochi consensi. Tuttavia, il retaggio lasciato all’Italia dagli anni di Berlusconi è una banalizzazione del fascismo gravida di conseguenze, che ha incoraggiato gruppuscoli di estrema destra a esporsi più apertamente, anche con l’uso della violenza. Se oggi sedicenti fascisti picchiano a sangue un gruppo di tifosi inglesi prima della partita di Europa League Lazio – Tottenham e poi, dagli spalti, li insultano con cori antisemiti, oppure se neofascisti fanno irruzione nelle scuole per protestare contro i tagli all’istruzione al grido di “Viva il Duce“, ciò è frutto dell’era Berlusconi. È stato innanzi tutto lui a sdoganare l’estrema destra.

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