“Gli incontri con Vito Ciancimino? Dovrebbero darmi un riconoscimento e invece mi trovo sotto processo per la trattativa”. Parola di Giuseppe De Donno, l’uomo che nel 1992 aggancia Massimo Ciancimino in aereo, chiedendo un colloquio con l’ex sindaco mafioso di Palermo. Obiettivo? “Cercare di catturare latitanti in un momento in cui lo Stato era in ginocchio. Ma chi si aspettava che Ciancimino agganciasse davvero Riina? Certo avremmo dovuto registrare quei colloqui con e adesso non ci sarebbero problemi”, dice al fattoquotidiano.it l’ex colonnello del Ros, che ha appeso la divisa al chiodo nel 2006 per aprire la sua società di security.

Per i pm siciliani, però, è quello il primo atto formale della cosiddetta trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra. E oggi De Donno, insieme al suo superiore Mario Mori e altre dieci persone, è imputato per il patto segreto che portò pezzi delle istituzioni a sedere allo stesso tavolo della mafia. Imputato nel processo sulla trattativa anche il senatore Marcello Dell’Utri, considerato dai pm “l’uomo cerniera” tra Cosa Nostra e il premier Silvio Berlusconi nel 1994. Ed è proprio a Dell’Utri che De Donno telefona il 9 marzo scorso, per complimentarsi della sentenza della cassazione che ha ordinato un nuovo processo d’appello per il senatore accusato di concorso esterno a Cosa Nostra. Solo che la voce di De Donno rimane registrata nelle bobine della Dia, che intercetta le sue telefonate, poi prodotte dall’accusa agli atti del processo. “Non è che fossi certo di essere intercettato, ma essendo indagato da una vita ovviamente lo sospettavo. Per questo ho chiamato Dell’Utri: ero contento per lui e volevo dirglielo alla luce del sole” continua sempre De Donno, appena uscito dall’udienza preliminare sulla Trattativa in compagnia del suo legale, l’avvocato Giuseppe Saccone.

Giusto in tempo per salire due piani di scale e infilarsi in un’altra aula del palazzo di giustizia di Palermo, quella dove si celebra il processo per contro Mario Mori e Mauro Obinu per il mancato arresto di Bernardo Provenzano a Mezzojuso nel 1995. De Donno, è stato chiamato in aula dalla difesa di Mori per raccontare le operazioni che il Ros attuò a Barcellona Pozzo di Gotto nel 1993. Nelle ultime udienze del processo è infatti entrata in scena prepotentemente la città peloritana, dove proprio nel 1993 si nascondeva un altro importante capomafia, Nitto Santapaola. Per l’accusa, Santapaola avrebbe fatto capolino nell’ultima parte della trattativa: quella che aveva come oggetto l’alleggerimento del carcere duro per i detenuti mafiosi. Ed è per questo che, sempre secondo gli inquirenti, Santapaola non venne arrestato di proposito dal Ros, nonostante fosse nota la sua presenza a Barcellona.

Una presenza di cui si era accorto anche il giornalista Beppe Alfano, assassinato proprio l’8 gennaio del 1993. In quel periodo a Barcellona succedono cose strane. De Donno è stato chiamato in aula proprio per raccontare uno strano inseguimento da film d’azione, che lo vide protagonista il 6 aprile 1993 insieme a Sergio De Caprio, alias il capitano Ultimo, indagato per quei fatti e poi archiviato. “Ad un posto di blocco credevamo di aver riconosciuto nel guidatore di una jeep il latitante Pietro Aglieri. Solo che dopo essersi fermata, quella automobile ripartì a sorpresa. Io e Ultimo ci lanciammo all’inseguimento a bordo di una Fiat Tipo 16 valvole. La Jeep iniziò a correre verso il centro di Barcellona, ma ad un certo punto s’infilò sui binari di una ferrovia” è stato il racconto che l’ex ufficiale del carabinieri ha reso davanti alla corte. “Per cercare di fermare la fuga di quella jeep – ha continuato De Donno – Ultimo sparò due colpi di pistola, colpendo il lunotto posteriore dell’automobile che a quel punto si fermò, il guidatore scese e si gettò su un dirupo”.

Solo a quel punto i militari si accorsero che non si trattava del boss Aglieri ma di Fortunato Imbesi, figlio di un imprenditore della zona che temendo un sequestro di persona, si era dato alla fuga. Per l’accusa quell’inseguimento ebbe come effetto la fuga di Santapaola da Barcellona verso la provincia catanese, dove verrà arrestato il 18 maggio 1993 dai poliziotti dello Sco. Sugli stessi argomenti è stato ascoltato in aula anche l’allora procuratore di Barcellona, Olindo Canali, che ha raccontato di come fosse stato tenuto all’oscuro dell’attività del Ros in terra peloritana. “Nessuno mi disse che c’era Santapaola nella zona, lo appresi soltanto molto tempo dopo la sua cattura, nell’estate del 1993. C’erano queste intercettazioni, in cui si sentiva la voce di Santapaola, che erano dell’aprile ma mi furono prodotte solo dopo l’arresto”.

Canali ha anche parlato di alcune fotografie, scattate nello stesso periodo proprio a Barcellona, dove Santapaola aveva una folta barba. Anche quelle fotografie gli sarebbero state mostrate solo dopo l’arresto del boss. Canali ha anche fatto cenno a un altro testimone del processo, il presunto boss di Barcellona Rosario Cattafi. “Ho sempre avuto l’impressione – ha detto il magistrato – che Cattafi promettesse spesso importanti rivelazioni quando si trovava in difficili condizioni con la giustizia”.

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